Ex Monastero di S. Sofia a Gravina
L’ex Monastero di S. Sofia occupa gran parte dell’isolato compreso tra la
via omonima, vico S. Luca e via Donato Cristiani del Centro Storico del Comune
di Gravina in Puglia.
A ridosso di queste strade si sviluppa l’area di S’Andrea e quella di S.
Maria la Nova (poi S. Francesco) antica badia benedettina.
Sin dall’epoca angioina la nuova cinta muraria accerchiò le abitazioni
sorte attorno alle chiese di S. Andrea e S. Maria la Nova.
L’area era contrassegnata da strutture abitative, che associavano le grotte
ad edifici in muratura; infatti, in una prima fase, risalente al basso Medioevo
queste erano composte da vani che sfruttavano gli anfratti naturali comunemente
dette “rughe” mediante un’opera di adeguamento per scavo.
In un secondo momento ad esse si aggiungono strutture in muratura a
destinazione abitativa, mentre le precedenti vengono utilizzate per il ricovero
degli animali.
Con il XVI secolo i processi avviati diventano sempre più consistenti e
prende sempre più corpo l’espansione della città.
Oltre alla crescita demografica che si registra in questo periodo si
aggiunge anche l’arrivo a Gravina di una consistente colonia di albanesi e serbocroati
che si insediarono nella vicina area di S. Maria la Nova che prese il nome di “rione
dei Greci.
Ogni angolo della città fu abitato, si apre così una forbice tra la vita in
grotta e l’esistenza in spazi costruiti.
Dove interviene l’edilizia, gli abitanti, gli animali, le suppellettili, le
masserizie trovano un minimo di agio, di spazio e di ambienti.
Anche se il sistema distributivo è elementare
e schematico, l’abitazione propone un’articolazione significativa non dissimile
da quella che si ha in altri paesi della Puglia.
Tutt’altro discorso per la vita in grotta. L’abitante ricava nel tufo, o
riutilizza un unico ambiente, magari con anfratti e rientranze.
Al suo interno si dispone la famiglia, si distribuiscono le scorte, si collocano
gli animali, polli, cani, asini, muli. È un’unica dimensione di vita e una sovrappopolazione
entro spazi minimi, con estrema povertà di funzioni e di autonomie.
Questa delle grotte è una situazione di vita drammatica ed ai limiti esistenziali,
ma per lungo periodo non lontana da altre circostanze della povertà contadina.
In questo
contesto s’inserisce la piccola chiesa di S. Sofia. Se pur una breve distanza
la separi dalle mura medievali e da quel confine naturale, rappresentato dal profondo
burrone della Gravina, la chiesetta è attualmente, inserita nel centro storico
del paese.
Anguste e tortuose
stradine, infatti, la collegano ai più importanti cenacoli religiosi della
città: la basilica cattedrale, la curia vescovile, la chiesa del Purgatorio, il
convento delle Domenicane, la collegiata di San Nicola e soprattutto il convento
di San Francesco dell’ordine dei Frati Conventuali.
È probabile,
pertanto, che nella scelta di affiancarle un monastero di clausura, abbia molto
influito la sua stessa ubicazione che, pur garantendole un certo isolamento, le
permetteva in ogni caso di essere facilmente raggiungibile.
Questo anche in ottemperanza alle disposizioni tridentine,
secondo cui le comunità religiose femminili, soprattutto quelle di clausura, dovevano
essere sì isolate, ma non completamente nascoste: “extra urbis, oppiai alterius
veloci moenia”
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