BERNALDA (MT) TRA CARLO DI BORBONE E LE LEGGENDE DI PALAZZO MARGHERITA
Alcune leggende su dei Palazzi storici di questa città la
rendono misteriosa ma le leggende si sovrappongono. Quella del Palazzo
Margherita o Palazz Ammicc Proprietà di Fransis Ford Coppola "perché la sua padrona portava il nome di Lalla
Micca" due storie diverse ma legate da una finestra murata con un epilogo
di morte e passione e non poteva mancare anche il fantasma
Amori impossibili
Esiste anche una leggenda raccolta tra gli anziani che
trascorrono i pomeriggi in Piazza Plebiscito, la villa di fronte Palazzo
Margherita. Una leggenda un po’ triste ma colma di amori e passioni. Il
finestrone centrale del balcone che sta sul portone d’ingresso, sembra che in
realtà sia una esatta riproduzione in muratura. Quindi chiuso (vedi le
differenze con i finestroni ai lati).
Il motivo di questa muratura e successiva contraffazione di un finestrone nasce da un fatto di amore-suicidio che colpì la famiglia che qui abitava. La figlia del proprietario, ricco signore del luogo, si innamorò perdutamente del giovane stalliere di famiglia. Il loro amore era forte e intenso ma clandestino. Entrambi sapevano che la differenza sociale avrebbe impedito qualsiasi forma di unione. Lui povero stalliere non sarebbe mai stato accettato dal padre e dalla famiglia di lei. Il loro amore continuò così ad essere inconfessato al mondo e segreto a tutti. Ma i segreti, da queste parti, non sono mai tali e il padre venne a sapere della storia tra i due giovani. Incontrò il giovane e lo cacciò di casa e appena questo si allontanò dal paese gli sparò con un fucile. Il ragazzo, ferito gravemente, parve morto agli occhi del signorotto soddisfatto del suo operato tornò a casa raccontando i fatti.
La ragazza convinta della sua morte del suo amato si
rinchiuse in sé stessa annientata dal dolore. Una notte in preda alla
disperazione e si lanciò dal balcone. Aveva deciso di morire e di raggiungere
spiritualmente il suo amato.
![]() |
Francis Ford Coppola, l'attuale proprietario di Palazz Ammicc |
In realtà il ragazzo non era morto, Ferito gravemente, venne
trovato sanguinante da un pastore, tra i campi intorno il paese. IL pastore lo
portò con sé e lo curò fino alla completa guarigione. Superata il rischio di
morte il ragazzo si riprese più forte che mai, ma la notizia del suicidio delle
sue amata lo sconvolse a tal punto che decise di abbandonare Bernalda e partire
più lontano possibile.
Nel palazzo invece da quel momento accaddero cose strane e
inquietanti. Ogni notte al finestrone centrale si sentivano dei colpi, come
bussare. Era l’anima della ragazza che ogni notte cercava di entrare in casa.
Era in cerca dell’anima del suo amato. Per evitare che lo spirito della ragazza
entrasse nel palazzo, decisero di eliminare il finestrone vero e di
ricostruirne uno finto in muratura. Tale espediente servì a evitare che lo
spirito della fanciulla entrasse nel palazzo, dato che la porta era solo
disegnata e quindi non vi era ingresso.
Dal quel momento in poi lo spirito della ragazza cessò di
aggirarsi intorno al palazzo e continuò la ricerca del suo amato altrove.
La Zingara
Questa leggenda narra di una famiglia ricca che abitava in un
grande palazzo del centro storico di Bernalda. Nel palazzo ci vivevano altre famiglie,
al piano terra c’era un grande atrio dove i bambini potevano giocare e dove gli
abitanti dello stesso palazzo, per lo più contadini, vendevano ciò che
coltivavano nelle loro campagne. Il proprietario non faceva pagare il fitto ma
in cambio voleva che gli inquilini dell’edificio si occupassero dei suoi
terreni. Prima di morire nascose tutto il suo oro in un posto segreto del
palazzo. Si racconta che, per avere questo tesoro, nel quale c’era
anche una chioccia d’ora a dimensione naturale con tredici pulcini,
si dovesse uccidere un bimbo non ancora battezzato e sacrificarlo. Ancora oggi
nessuno è riuscito a trovare questo tesoro. Questo palazzo, tutt’ora abitato, è
chiamato Palazz Ammicc perché la sua padrona portava il nome di Lalla Micca*.
Si dice che le famiglie di questo palazzo avessero più figli femmine che
maschi, infatti si diceva: palazz ammicc femmn assje uommn picc. La signora, la
padrona del palazzo, aveva tre figli, una femmina e due maschi. Essendo una
persona benestante, tutti i giorni si recavano a palazzo alcune serve per
pettinarla e aiutarla nelle faccende di casa. Un giorno una zingara che si era
accampata nella valle del fiume Basento ai piedi del paese, passò da quelle
parti e sapendo che lì era nascosto un tesoro, tentò di intrufolarsi. Entrata
con la scusa di pettinare i capelli alla signora entrò nel palazzo vide la
bella figlia della padrona. La rapì e la portò con sé fino a farle dimenticare
la sua famiglia. La padrona del palazzo attese per anni, invano, il ritorno
della figlia. Un giorno gli zingari tornarono ad accamparsi nella valle del
Basento, proprio nei pressi di Bernalda. La fanciulla rapita era ormai
diventata donna e mentre camminava udì il suono delle campane della chiesa
Madre. La ragazza incominciò a chiedere insistentemente per chi quelle campane
suonassero a lutto. Doveva essere per forza una persona importante e gli
zingari che avevano già saputo della morte della signora del palazzo Ammic le
dissero la verità. Spinta e guidata dal sentimento, decise di recarsi in paese
a far visita alla madre ormai morta. Gli zingari le diedero il permesso di
andare in paese a patto che giurasse di ritornare, lei accettò e la
accompagnarono fin sotto le mura del paese. Chiese ad una donna che cosa fosse
successo è questa le raccontò ciò che era accaduto tanti anni prima e che
talmente forte era stato il dolore di questa mamma che si era ammalata fino a
morire. La fanciulla afflitta e addolorata, si recò al palazzo paterno dove
viveva la sua famiglia per salutare un’ultima volta la salma della madre.
Nessuno la riconobbe. Si chinò verso la bara di sua madre e pronunciò queste
parole: “Signura mia signura, tu jer a pampn e ii jer l’uv, dnar n’ tniev senz
misur ma nun ma saput ammuntuà la mia vntur” (signora, mia signora tu eri il
tralcio e io ero l’uva, di denaro ne avevi senza misura, ma non hai saputo
indovinare la mia ventura). Udite queste parole, i fratelli capirono che si
trattava della sorella rapita anni addietro e la supplicarono di restare a
palazzo, ma ella, memore della promessa fatta agli zingari, volle andar via. Un
fratello la rincorse ma non riuscii a raggiungerla, si affacciò dalla finestra
che dava nella valle, accecato dalla rabbia, le sparò dei colpi di fucile e la
uccise, togliendola così agli zingari che l’avevano rapita. Oggi a palazzo
Ammic c’è una finestra murata che si affaccia sulla valle e la leggenda dice
che lo spirito della signora è fuori da questa finestra che aspetta ancora la
figlia. Dove la fanciulla fu uccisa è tutt’ora denominato “U cuozz d l zingr”.
* Palazzo Ammicc deriverebbe dal nome della famiglia proprietaria, i Lambicco o
i D’amico.
La storia
di Bernalda
Non è molto antica, se la si mette in relazione con altri centri del Metapontino. Verso la fine del III sec. a.C. la città di Metaponto fu saccheggiata e completamente distrutta dai romani. Una parte dei suoi abitanti si spostò sulla collina tra l'attuale chiesetta di san Donato e la Madonna degli Angeli, dove dettero origine ad un agglomerato di case denominato Camarda.
Non è molto antica, se la si mette in relazione con altri centri del Metapontino. Verso la fine del III sec. a.C. la città di Metaponto fu saccheggiata e completamente distrutta dai romani. Una parte dei suoi abitanti si spostò sulla collina tra l'attuale chiesetta di san Donato e la Madonna degli Angeli, dove dettero origine ad un agglomerato di case denominato Camarda.
Di queste origini greche non si è ancora in grado di fornire
alcune testimonianze certe. Il primo documento in cui si trova citato un
villaggio con il nome di Camarda risale al 1099. Successivamente, nell'anno
1180, Camarda, già costituita come feudo, fu assegnata a Riccardo e nel 1350 ne
divenne proprietario Bertrando del Balzo, conte di Montescaglioso.
Sebbene il lungo periodo che la precede è tuttora avvolto nel
mistero, la storia di Bernalda emerge dall'incertezza soltanto alla fine del XV
secolo. Il nome Bernalda risale, infatti, al 1497 quando, sulle rovine
dell'antica città di Camarda, il segretario del re Alfonso II d'Aragona, tale
Bernardino de Bernaudo, decise di spostare il villaggio di Camarda nella zona
del Castello. Il barone posò la massima attenzione nel costruire il nuovo
centro abitato. Infatti, da lui prenderà il nome di Bernalda. Questo fu situato
sul promontorio sporgente sulla vallata del Basento con un impianto viario in
cui sette strade larghe vennero intersecate da otto stradine trasversali che
oggi formano il centro storico. Lungo le strade più importanti sorsero i
palazzi signorili, caratteristici del paese.
Sempre durante la dominazione aragonese venne costruito il
castello e la Chiesa Madre.
Nel 1735 dimorò a Bernalda, Carlo III di Borbone, il quale
volle visitare i territori del suo regno, appena acquisito, in seguito alla
guerra di secessione polacca. Per la grande ospitalità ricevuta, il re volle
premiare il centro che lo aveva ospitato e il 21 giugno 1735, con un decreto
legislativo, re Carlo III di Borbone, Re delle Due Sicilie, conferì a Bernalda
il titolo di città. Giuseppe Maria Alfano, negli anni Venti del 1800, descrive
l'economia agricola del paese, appartenente alla diocesi di Acerenza (Pz),
ricca di grano, legumi, olio, cotone e pascoli. È sempre negli stessi anni, il
21 dicembre del 1819, re Ferdinando I di Borbone firmò il decreto (n. 2020) che
permise la celebrazione di una fiera annuale: <da' 16 fino al mezzodì de' 19
di maggio>, dedicata al patrono San Bernardino da Siena. Il successore
Ferdinando II di Borbone, il primo dicembre del 1831 autorizza, (decreto n.
636), l'ampliamento del borgo, scegliendo il fondo denominato “la difesa di san
Donato”, che si trova all'estremo opposto rispetto al nucleo urbanistico sorto
attorno alla chiesa madre e al castello. Qualche anno più tardi, 1834, venendo
incontro ai tanti contadini bisognosi, fu istituito anche qui un monte
frumentario. I moti del '20 '21 e dei decenni successivi suscitano anche in
paese posizioni contrastanti, arresti e aiuti per la spedizione garibaldina. e
fu così che cominciò il declino di Bernalda, sorte comune a tutte le città del
sud italico a causa della invasione savoiarda e del medioevalico cosiddetto
risorgimento italiano, sarebbe meglio chiamarlo decadimento italiano, almeno
per il sud!
Il
decadimento di una fiera città Duosiciliana
Nel 1864 gli abitanti
censiti sono circa seimila, ma l'economia è ancora prevalentemente agricola,
grazie al cotone e allo zafferano. Non manca la pesca, grazie alla vicinanza
del fiume Basento e la caccia nei boschi limitrofi. L'8 settembre del 1865
Bernalda, grazie ad un altro decreto firmato dall'allora re d'Italia, Vittorio
Emanuele II, diventa una sezione del collegio elettorale di Matera numero 53,
staccandosi da Pisticci (Mt). Il sovrano accetta così la richiesta della
municipalità bernaldese del 13 novembre 1865, in cui si segnalava la lunghezza
e la difficoltà delle strade attraversate dai fiumi. Era assai disagevole,
dunque, per i 40 elettori residenti recarsi nel territorio pisticcese ed
esprimere il proprio voto.
Nel 1922 era attiva in paese la “rispettabile loggia”
massonica «Nazionale n° 103» fedele alla Gran Loggia d’Italia degli Antichi
Liberi Accettati Muratori, obbedienza di Piazza del Gesù a Roma. Nel 1930 il
territorio comunale, prima molto piccolo a causa delle restrizioni savoiarde,
si ampliò notevolmente con l'acquisizione dell'area di Metaponto e il
conseguente sbocco sul mare, prima appartenente al comune di Pisticci. La città
durante gli anni ottanta ha avuto un notevole sviluppo urbanistico. Il giudice
Agostino Cordova, indagando sulla massoneria nel 1992, scopre che tre
bernaldesi, Bussalay Salvatore G., dipendente ENEA, Romano Domenico, vigile
urbano e Russo Giovanni, geometra sono massoni
Rocco M. Renna
Rocco M. Renna
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