Salvatore Giuliano , eroe o criminale?

nonstante tutte le elggende che si raccontano su Giuliano , questa dovrebbe essere definitiva verità.
Salvatore Giuliano,il test del Dna conferma che è lui secondo organi stampa, gli accertamenti medicolegali, confermerebbero che il cadavere riesumato sarebbe proprio quello del bandito Giuliano.Il test del Dna, praticato sui resti sepolti nel cimitero di Montelepre, smentirebbe quanto ipotizzato nell’esposto dello storico Giuseppe Casarrubea, secondo il quale Giuliano avrebbe fatto uccidere un’altra persona, facendola seppellire al posto suo.
A smentire però la notizia apparsa sulla stampa, il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia.
Per fugare i dubbi sull’appartenenza di quei resti, la Procura ha incaricato alcuni esperti di comparare il profilo genetico con quello di alcuni congiunti di Giuliano.


Salvatore Giuliano , nasce a Montelepre il 12 novembre 1922.
Il padre, che portava il suo stesso nome, era stato costretto ad emigrare negli Stati Uniti.
Con i soldi guadagnati all’estero, riuscì a comprare dei terreni vicino al paese, dedicandosi alla loro coltivazione.
Salvatore (Turiddu in siciliano), era un ragazzo dall’intelligenza vivace, frequentava ancora le elementari e dimostrava una certa attitudine allo studio, anche quando finite le elementari, iniziò ad aiutare il padre, non tralasciando comunque, quando possibile, di continuare a leggere..
Erano gli anni della seconda guerra mondiale e il regime fascista, aveva introdotto tardivamente (16 mesi dopo l’inizio del conflitto) il razionamento del pane e a seguito della mancanza di manodopera nei campi, la quantità dei generi razionati, non riusciva a soddisfare neppure il 50% del fabbisogno della popolazione.
Questa drammatica situazione, portò ad una legalizzazione di fatto del commercio clandestino di generi di prima necessità.
Non furono pochi coloro i quali, si dedicarono a tale lucrosa attività, alcuni, sottraendo o commerciando piccole quantità di prodotti destinate allo stoccaggio, altri, creando un’organizzazione ben strutturata, in grado di trasformare il piccolo commercio illegale in un’attività lucrosa e su vasta scala.
Salvatore Giuliano, come tanti altri, fu tra i piccoli contrabbandieri che si dedicò a tale attività, per sostentare la famiglia e far patire il meno possibile i disagi di quegli anni ai propri cari.
Molti agricoltori, nascondevano derrate alimentari per nutrire la propria gente, ma il problema, era rappresentato dalla macinazione del grano, infatti, tutti i mulini, erano sorvegliati dai militari e questo impediva la macinatura del grano sottratto all’ammasso.
A tal fine, i Giuliano avevano costruito un piccolo mulino segreto.
Ad occuparsi dell’attività, era stato il fratello maggiore, fino a quando non venne chiamato alle armi e toccò quindi al giovane Salvatore, di soli 20 anni, farsi carico della famiglia.
Ma il ragazzo, era inesperto del modus operandi dei contrabbandieri di grano e il 2 settembre 1943, mentre trasportava, con Gaspare Pisciotta, due sacchi di grano (80Kg), incappò in una pattuglia formata da due guardie campestri e due carabinieri.
Le sue preghiere e le spiegazioni date, non furono di alcuna utilità al giovane Salvatore, che si vide accusato di contrabbando e chiese ai militari di essere denunciato, ma non arrestato.
Mentre sembrava che i militi si stessero convincendo, accadde quell’imprevisto che porterà “Turiddu Giuliano” a diventare il bandito di cui si dirà che togliesse ai ricchi per dare ai poveri, ma che venne anche definito, dal giornalista Mike Stern che lo aveva intervistato, . ” un ragazzo, un ragazzo sincero. Aveva solo un lato sbagliato: gli piaceva ammazzare la gente”.
Non potremo mai sapere se gli piacesse ammazzare la gente, mentre invece le cronache e le testimonianze, ci confermano gesti di generosità nei confronti dei più deboli, ciò non toglie il fatto, che lui e la sua banda, furono autori di numerosi omicidi.
Mentre i militari controllavano i documenti di Giuliano, al quale sequestravano mulo e grano, sopraggiunsero quattro muli carichi di frumento e i carabinieri, lasciarono Giuliano per fermare i contrabbandieri.
A quel punto, Salvatore Giuliano, approfittando della distrazione dei militari, tentò la fuga, ma i componenti della pattuglia, che avevano ordini ben precisi, spararono sei colpi nella direzione del fuggiasco, centrandolo due volte ad un fianco.
Giuseppe Mancino, carabiniere della pattuglia, ricevette l’ordine di avvicinarsi a Giuliano per accertarne la morte e nel caso in cui fosse stato ancora vivo, di finirlo con un colpo di grazia.
Salvatore Giuliano era però armato e quando il Mancino si avvicinò a lui, sparò un colpo di pistola ferendolo (morirà il giorno successivo) e seppur malconcio, riuscì a fuggire.
Gli altri componenti della pattuglia infatti, non se la sentirono di inseguirlo nel bosco e iniziò così la storia di Turiddu, per alcuni solo un brigante legato all’ambiente contadino, bandito feroce (circa 150 gli omicidi attribuiti alla sua banda), eroe romantico secondo altri, che sperava nel riscatto civile del suo popolo, allacciando rapporti con il mondo politico, con servizi deviati e con le frange separatiste.
In questo modo, Turriddu divenne l’ultimo bandito delle campagne siciliane, con un grande sogno nel cassetto: la Sicilia deve separarsi dal resto d’Italia e diventare uno stato degli Stati Uniti!
Chissà, se Giuliano non fosse incappato nei carabinieri, se non gli avessero sparato, se non fosse stato dato l’ordine di dargli il colpo di grazia…chissà, forse non sarebbe esistito il Turiddu Giuliano bandito e tante altre cose sarebbero magari andate in maniera diversa.
Dopo quel tragico evento del 2 settembre 1943, Giuliano, ormai bandito, aveva molti sostenitori in paese e iniziò ad aggregare attorno alla sua carismatica figura, quelli che in breve diventarono i componenti della più temuta banda che insanguinò le campagne dell’isola.
Trascorsi i primi due anni alla macchia e resosi protagonista di più imprese banditesche, comincia a formarsi una nuova coscienza, quella del “bandito guerrigliero”.
Una sorta di giustiziere, capace di attaccare le forze dell’ordine, intere colonne di militari, le sezioni comuniste, ma anche di uccidere noti mafiosi come Santo Fleres.
Non ha obiettivi politici, né ha la capacità di progettare o mettere in atto strategie che mirino ad un progetto a più lungo termine.
È animato da una confusa aspirazione alla giustizia sociale, crede nella risposta armata alle angherie da parte dei vari potenti e comincia ad illudersi di svolgere un ruolo politico di primaria importanza, che lo vede contrapposto allo Stato, per sconfiggere il quale, s’illude di poter utilizzare la propria banda, trasformandola in un esercito.
Purtroppo, in quest’ottica, i suoi principali nemici sono coloro i quali servono lo Stato, spesso anche a costo della propria vita.
Nel 1945, si avvicina al Movimento Indipendentista Siciliano (MIS), inconsapevole del fatto, che sta iniziando a scrivere l’epilogo della sua storia.
Successivamente, spinto anche dall’intelligence americana e da un colonnello dell’esercito americano, che alimentarono l’illusione che la Sicilia avrebbe potuto essere annessa addirittura agli U.S.A. entra a far parte dell’E.V.I.S.(Esercito Volontario per la Indipendenza Siciliana), che operò contro l’esercito italiano nel biennio 45/ 46 ed era comandato all’epoca dall’avv. Antonio Canepa, che verrà ucciso il 17 giugno 1945 in uno scontro con i Carabinieri a Randazzo.
Salvatore Giuliano, entrò nell’EVIS, con il grado di colonnello.

Diventa quindi un guerrigliero, un combattente che affascina e riesce ad ottenere consenso tra la popolazione, in particolar modo tra i contadini, che vedono in lui la speranza del riscatto da una vita di stenti e di soprusi.
Durante questo periodo, la leggenda di Giuliano il bandito, si arricchisce di particolari che riguardano anche la sua sfera privata, si narra di amori bruciati in poche ore, di donne che riescono tramite i suoi uomini a raggiungere il bandito o di appuntamenti galanti ai quali lui si reca, sfidando tutti i pericoli.
In verità, Salvatore è un uomo accorto, capisce benissimo che un legame stabile che lo coinvolga intimamente, lo condurrebbe irrimediabilmente alla fine e di conseguenza, evita di instaurare rapporti sentimentali duraturi.
Certamente, non fu indifferente al gentil sesso, a tal punto che, tra coloro che cercavano con lui un contatto per scrivere la sua storia, ospitò una giovane giornalista, con la quale ebbe una relazione.
Del resto, gli ingredienti c’erano tutti per poter scrivere anche un romanzo.
Lui, dai lineamenti forti, lo sguardo inquieto e indagatore, indubbiamente coraggioso, a volte cinico e feroce, ma capace anche di gesti di grande generosità.
Lei, una giovane straniera, impavida e decisa a scrivere del bandito.
Il tutto, in un contesto di sangue, monti, brulla terra di Sicilia, fughe e agguati.
Cresceva così, nell’immaginario collettivo, la figura di un brigante dal cuore buono.
Purtroppo, così non era per chi mandato a combattere una guerra non voluta, subiva agguati e assalti nel corso dei quali non si evitavano certo inutili spargimenti di sangue.
Molti furono i tentativi da parte dello Stato, per catturare l’imprendibile bandito, ma a nulla valse né il numero di uomini inviati nelle campagne, né le tante operazioni di rastrellamento condotte alla ricerca di Giuliano e la sua banda.
Non solo il “Re di Montelepre”, com’era definito, sembrava imprendibile come un fantasma, ma ad ogni azione condotta dai militari, corrispondeva sempre un’azione di rappresaglia da parte dei banditi, che continuavano a lasciarsi alle spalle una scia di sangue che si allungava di giorno in giorno.
Ma il mito di Giuliano, era già nella sua fase discendente.
Da lì a poco infatti, il M.I.S., entrerà nella legalità e otterrà la garanzia del riconoscimento dello Statuto Speciale Siciliano, da parte di Re Umberto II e Giuliano, che non accettò l’accordo e continuò con la sua banda a fare guerra allo Stato, diventava per tutti un criminale comune.
Anche a livello nazionale, le cose cominciavano a cambiare e con il primo referendum istituzionale, cadde la monarchia, per lasciare posto alla Repubblica.
Nel frattempo, il movimento contadino, che sperava in un cambiamento e nella riforma agraria, iniziava una dura lotta in difesa dei diritti della categoria, che portava all’uccisione di sindacalisti come Accursio Miraglia, Placido Rizzotto e Salvatore Carnevale, dei cui delitti non è mai stata fatta giustizia.
Nel 1946, il nuovo governo italiano, concede l’indulto ai guerriglieri dell’EVIS e Salvatore Giuliano, perde così ruolo ed esercito.
Aveva però nel frattempo stretto rapporti con la mafia, della quale si trasforma presto nel braccio armato
Gli incontri tra Giuliano e uomini delle istituzioni, come l’alto funzionario di PS Ciro Verdiani e il procuratore generale Emanuele Pili, come pure l’ispettore polizia Messana, hanno fatto molto discutere, alimentando il sospetto che dietro le gesta del bandito e dietro la sua stessa fine, si celi ben più di un mistero e tante responsabilità, sulle quali si è sempre preferito tacere.
Prima delle elezioni, Salvatore Giuliano, decide di appoggiare la candidatura di Nino Varvaro, esponente del M.I.S. ( Movimento per l’Indipendenza della Sicilia ) e aveva a tal scopo raggiunto un accordo con il comunista Girolamo Li Causi, ma l’esito della competizione elettorale, evidenziò come Giuliano fosse stato da quest’ultimo ingannato
Deciso a dare una lezione al Li Causi, che servisse da monito anche agli altri, Salvatore Giuliano, ne progettò il sequestro, nel corso della festa del 1° maggio, che si sarebbe svolta a Portella della Ginestra (Pa) .

È il 1° maggio 1947, una folla festante invade la campagna di Portella della Ginestra, nei pressi di Piana degli Albanesi (PA), quando all’improvviso, l’atmosfera festosa è rotta dal crepitio di una mitragliatrice, seguita da un numero imprecisato di colpi sparati con armi di vario genere.
Riversi nel loro sangue, tra le zolle dei campi, restano 11 persone, compreso due bambini, mentre 56 vengono ferite.Colpevole: Salvatore Giuliano, detto Turiddu, e la sua banda.
Ma come poteva Giuliano, amico dei contadini e amato e aiutato dagli stessi nella sua latitanza, aver dato l’ordine di compiere il massacro?
Non poteva e infatti, come verrà appurato successivamente, gli ordini di Giuliano erano stati precisi: sparare in aria per creare il panico e poter sequestrare Li Causi.
Cosa che non sarebbe potuta comunque accadere, poiché sia Li Causi che i sindaci comunisti di Piana Degli Albanesi e di San Giuseppe Jato, avvertiti prontamente, non si erano recati a Portella della Ginestra.
Giuseppe Passatempo, addetto alla mitragliatrice, aveva violato gli ordini di Giuliano e deliberatamente sparato ad altezza d’uomo.
Giuliano, in seguito avrebbe voluto punirlo per averlo reso colpevole di un gesto da lui non voluto, ma l’intercessione di Salvatore Passatempo e la mediazione di Antonio Terranova, lo convinsero a cercare di superare l’accaduto.
Ma non era stato né un incidente, né la sola azione arbitraria del Passatempo, infatti, secondo alcune fonti, la strage era stata programmata da tempo e sarebbe dovuta avvenire nel caso in cui le sinistre avessero avuto la maggioranza.
Nel ’47, dopo la vittoria delle sinistre alle prime elezioni regionali siciliane, con 29 seggi alle sinistre e 21 alla DC. a Giuliano venne promesso un lasciapassare per l’America in cambio di un’azione che servisse da monito a tutti e che fu fortemente voluta dalla DC e dagli americani.
Secondo alcune ricostruzioni, l’America inviò agenti segreti di quella che era allora l’attuale CIA, muniti di lancia granate, a lanciare sulla folla le “SPECIAL WEAPONS” (Atti desecretati della CIA La Repubblica ANNO 10 N°6 del 10/02/2003), le cui schegge, vennero fuori dagli esami necroscopici e dagli interventi sui feriti.
Ad oggi, non si può comunque affermare che il mandante della strage fosse politico, ma quello che è certo, è il fatto che la DC, abbarbicata al Governo con la Presidenza del Consiglio, i suoi Ministri, i servizi segreti e un apparato dello Stato che aveva collegamenti con i servizi segreti americani e direttamente o indirettamente anche con la mafia, avrebbe dovuto conoscere il piano di Portella della Ginestra.
Ma chi avvisò Li Causi e gli altri? E perché nessuno avvisò i contadini?
La mafia, appoggiò fin dall’inizio le forze antifasciste, dando per scontato che le stesse, sarebbero diventate forza governativa e quindi, con la speranza di vedere riconosciuto il merito di aver salvato i dirigenti comunisti, mentre da un lato contribuiva a costruire e attuare il progetto del massacro, dall’altro, costruiva rapporti amichevoli con quelli che presumibilmente sarebbero andati al governo.
Questo, lascia spazio ad inquietanti interrogativi sull’operato di alcuni dirigenti comunisti, che non si preoccuparono neppure delle sorti di quei poveri disgraziati che caddero in un’imboscata voluta dall’alto e che vide nella presenza di Giuliano e la sua banda il capro espiatorio perfetto, al quale addebitare la carneficina.
Giuliano, dopo questi fatti, divenne un personaggio scomodo per tutti.
Gli americani, dopo l’accordo tra il movimento separatista e il governo italiano, con la concessione di autonomia alla Sicilia, avevano già abbandonato l’E.V.I.S. e Giuliano.
La mafia, accortasi del fallimento del Movimento Indipendentista, non tardò a schierarsi con chi, più forte, poteva dare maggiori garanzie per il futuro, tentando prima con le sinistre e alleandosi in seguito con le forze centriste, quando le stesse furono messe nelle condizioni di poter vincere le elezioni.
Ad avvalorare la tesi che la strage di Portella fu portata a termine anche da uomini estranei alla banda di Giuliano e appartenenti alla mafia, il fatto che le vittime furono colpite da proiettili cal 9, mentre gli uomini di Giuliano, avevano in dotazione armi di cal 6,5.
Da alcune ricostruzioni, pare che sei mitra Beretta calibro 9 furono consegnati a sei mafiosi di San Giuseppe Jato dall’ispettore di Polizia Ettore Messana. (da rifondazionealatri) e questo lascia pensare sullo scellerato patto che Mafia e Stato raggiunsero pur di sotterrare per sempre i fervori dei separatisti siciliani.
I lanciagranate cui si fa riferimento negli atti desecretati dalla CIA, potrebbero essere stati utilizzati da ex componenti del battaglione Vega della Decima Mas, arruolati dai servizi segreti americani.
È infatti risaputo che Junio Valerio Borghese, finita la guerra, venne aggregato ai servizi segreti americani, al fine di creare una struttura in grado di arginare un’eventuale espansione comunista nell’isola e che non fu il solo, che messosi a servizio degli americani, entrò in contatto con la vicenda siciliana.
Fu a quel punto, che Giuliano tentò di giocarsi la sua ultima carta: il “Memoriale sui fatti di Portella della Ginestra”.
Scrisse dunque ai giornali, sostenendo di essere in possesso di documenti che avrebbero dimostrato chi erano i veri colpevoli della strage, ma animato da sentimenti di vendetta, avrebbe anche voluto rapire Bernardo Mattarella, allora sottosegretario del ministero dei Trasporti e Calogero Vizzini , conosciuto come don Calò, che era stato imposto come sindaco di Villalba dagli americani, quale segno di riconoscimento nei confronti della mafia, per i servigi resi dalla stessa durante e dopo lo sbarco in Sicilia.
Così, mentre Giuliano tenta un ultimo bluff, la mafia aveva già scritto la condanna a morte per un uomo diventato ormai troppo pericoloso per tutti e al cui memoriale non crede nessuno.
Il funzionario di PS Ciro Verdiani, avendo compreso che quelli di Giuliano erano bluff, lo avvisò dicendo: “Guardati da tuo cugino”, ma a nulla servì l’avvertimento.
La storia del memoriale, non finirà comunque con la morte di Giuliano.
Tra conferme, smentite, ulteriori conferme e colpi di scena, per tanto tempo ancora, si dubiterà se sia mai esistito e se è vero che lo possegga Maddalena Lo Giudice, la quale, prima per sua ammissione e poi smentendolo, affermò di essere stata l’amante del bandito negli ultimi mesi della sua vita.
Da quanto dichiarato ad un giornalista, Maddalena Lo Giudice, avrebbe avuto tre cose da Salvatore Giuliano: una cassetta colma di gioielli, un memoriale in cui Giuliano aveva scritto accordi, nomi, fatti, di coloro che, appartenenti alle istituzioni e non, lo avevano prima aiutato e protetto e poi tradito; infine un figlio, del quale non si seppe mai nulla.
Proprio per capire, o forse per timore, se realmente Giuliano avesse lasciato un memoriale, si tentò di appurare una delle presunte verità: Maddalena Lo Giudice, aveva o non aveva avuto un figlio?
Allo scopo, oltre all’invio da parte del Ministro degli Interni di un ispettore generale di polizia, per fare luce sulla vicenda, venne chiesto l’intervento di un celebre chirurgo per appurare se la donna avesse mai partorito.
Ma storie fitte di misteri, non possono mancare di ulteriori colpi di scena e così alla domanda se Maddalena avesse mai partorito, il chirurgo, soprappensiero rispose: “forse…”.
A completare l’enigma, la frase con la quale Maddalena termina l’intervista:
“Ecco, questa è la mia storia con Turiddu.
Però io non so ora se essa è vera, o se me la sono sognata tante volte fino a convincermi anch’io che essa è vera!”.
Dopo la strage di Portella della Ginestra, le forze dell’ordine, si avvalsero anche della mafia per chiudere il cerchio attorno a Giuliano e convincere Gaspare Pisciotta a collaborare.
L’ispettore Messana utilizzò un informatore di primo piano, Salvatore Ferreri, detto fra’ Diavolo, mentre il Comando forze repressione banditismo chiese collaborazione a Benedetto Minasola, capo mafia di Monreale pur di arrivare all’eliminazione di Giuliano
A capo delle forze antibanditismo, c’era il colonnello dei carabinieri Ugo Luca.
Mentre De Gasperi presiede il suo quarto Gabinetto, Einaudi è alla guida del Quirinale, il Ministro dell’Interno Mario Scelba, secondo Gaspare Pisciotta, avrebbe dato disposizioni al colonnello Ugo Luca, affinché accettasse un accordo con il Pisciotta stesso, che prevedesse la sua collaborazione per eliminare Giuliano, in cambio di interventi in suo favore, qualora fosse stato arrestato.
Giuliano era infatti molto guardingo ed eliminarlo non sarebbe stato facile.
Allo scopo, vennero incaricati uomini di notevole prestigio tra le forze dell’ordine, di cui alcuni avevano già lavorato con il prefetto Mori e che a quel tempo, si trovavano al servizio del Ministero degli Interni, presieduto dal ministro siciliano Scelba.
Il 5 luglio del ’50, viene ucciso Salvatore Giuliano e si organizza nel cortile dell’avvocato De Maria in via Mannone a Castelvetrano (TP) una messinscena allo scopo di simulare un conflitto a fuoco con i carabinieri.
La notizia, viene diffusa con toni trionfalistici ed è una bomba: Salvatore Giuliano è morto!
A scoprire che ad ucciderlo sarebbe stato il suo luogotenente, erroneamente definito cugino, Gaspare Pisciotta, sarà successivamente il giornalista Tommaso Besozzi che, sbugiardando i carabinieri, rivelerà la verità: Salvatore Giuliano, è stato ucciso da uno dei suoi “picciotti” per denaro e viltà.
Con due colpi di pistola, Gaspare Pisciotta, aveva scritto la parola fine alla storia dell’ultimo bandito siciliano che, forse più di ogni altro, aveva impersonificato le grandi contraddizioni di questa terra, creandosi fama di feroce bandito ma anche di novello Robin Hood.
Con lui si chiudeva una delle pagine più sporche, ma insieme leggendarie e romantiche, della storia del banditismo in Sicilia.
Ma non finivano certo con lui, misteri e segreti così squallidi e orrendi, da dover essere per sempre taciuti e Gaspare Pisciotta, tratto in arresto, durante il processo di Viterbo dalla gabbia urlerà: “Siamo un corpo solo, banditi, polizia e mafia, come il padre, il figlio e lo spirito santo”.
Si riferiva al patto stretto con il colonnello Ugo Luca o a fatti ancor più gravi, come quello di Portella della Ginestra?
morte di Salvatore Giuliano

Questo, non potremo mai saperlo, poiché prima che potesse concretizzare le sue accuse , dinanzi al procuratore Pietro Scaglione (che verrà assassinato dalla Mafia nel 1971), Pisciotta verrà ucciso all’interno del carcere dell’Ucciardone, tramite un caffè alla stricnina…
Se la messinscena dell’uccisione del bandito Turiddu Giuliano, aveva lo scopo di dimostrare che era stato il governo a vincere, non servì a nulla, poiché se il governo vinse, in realtà lo Stato perse.
Quello Stato, che promosse successivamente quei servitori che, come i vari Luca, Perenze ed altri, a prescindere dai metodi usati, avevano comunque contribuito seriamente alla lotta al banditismo, in verità, lo fece solo per coprire una delle pagine più vergognose della nostra storia.
Purtroppo, dopo Giuliano, altre pagine sporche di sangue innocente e di vergogna, si sono aggiunte.
A cominciare dagli anni di piombo, con gli attentati terroristici dietro i quali spunta sempre una pista che porta a servizi deviati italiani e non, allo Stato, al potere politico, mafioso, imprenditoriale, per finire con le storie di mafia e pentiti e con le stragi come quelle di Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino.
Che Salvatore Giuliano sia stato bandito o eroe, lo lasciamo decidere a chi legge.
Quel che è certo, è il fatto che Giuliano non scelse motu proprio di diventar bandito, così come, non lasciò agi domestici per abbracciare una bandiera ribelle.
Fu, è vero, il più famoso bandito italiano della storia, ma lo diventò per tutta una serie di circostanze e venne poi utilizzato sia dalla mafia che dalla politica, senza neppure rendersi conto che gli unici veri innocenti (spesso inconsapevolmente utilizzati anche loro), erano proprio coloro che egli uccideva nel corso delle sue imprese, ritenendoli i nemici dei sogni di un popolo.
Sulla sua tomba, un mese dopo la sua morte, vennero scolpiti i versi che Maddalena Lo Giudice disse di avere avuto personalmente dal bandito:
“Poveri versi miei d’amor beati
nel meglio del gioir siete periti
sorgeste fieri ma sfortunati
e come uccello nei boschi siete spariti”.
Un dubbio: ma se i versi, furono veramente il testamento che Salvatore Giuliano lasciò a Maddalena, perché non potrebbe avere lasciato anche un memoriale? E cosa avrebbe scritto?
Molte risposte, potremo averle solo nel 2016 – sempre che ulteriori dubbi non vengano alimentati dall’esito dell’esame del Dna – quando gli atti che riguardano Salvatore Giuliano e la sua banda, non saranno più coperti dal “Segreto di Stato”.

Gian J. Morici


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