La Nitriera borbonica nel Pulo di Molfetta


Il salnitro

All’interno delle grotte del Pulo si rinvengono numerosi cristalli di nitrato, tra cui il nitrato di calcio, il nitrato di magnesio e il nitrato di potassio o salnitro KNO3.
Quest’ultimo nitrato, osservato e studiato sin dal 1700, ha assunto insieme al valore naturalistico, una straordinaria importanza storica, in quanto è stato intensamente estratto in epoca borbonica per la produzione della polvere pirica, miscela esplosiva a base di nitrato di potassio, carbone di legna e zolfo.
I cristalli di nitrato si rinvengono in particolare nelle grotte Ferdinando e Carolina, situate nella parete della dolina esposta a Mezzogiorno, che presentano le condizioni ideali di basso tasso di umidità e buona ventilazione per la formazione del salnitro.
Il salnitro si rinviene sotto forma di incrostazioni con uno sviluppo cotoniforme o di infiorescenze biancastre.
A testimonianza del valore storico del salnitro, rimangono ancora oggi visibili le straordinarie strutture della Real Fabbrica del salnitro costruita nel Pulo in età borbonica.


Il ciclo di produzione del salnitro

  1. Raccolta in grotta delle terre ricche di nitrati.
  2. Lisciviazione (lavaggio) delle terre e formazione dell’acqua madre satura di nitrati (NO3).
  3. Aggiunta all’acqua madre di potassa (K2CO3), ottenuta attraverso la bollitura di cenere di legna. Il ranno saliva in superficie, veniva raccolto, asciugato e conservato in vasi di terracotta o in barili ben chiusi. Produzione del cosiddetto liquore. La potassa poteva anche essere aggiunta “a freddo”, mescolando la terra nitrosa con la cenere o alternando strati di cenere e strati di paglia e terra nelle medre, vasche in cui le terre venivano lisciviate.
  4. Bollitura del liquore in grandi caldaie e formazione di una soluzione concentrata di salnitro (nitrato di potassio) (KNO3). Precipitazione di cristalli ricchi di impurità (salnitro grezzo).
  5. Ulteriore lavaggio e cottura del salnitro grezzo. La cotta avveniva lentamente a caldo in grandi caldaie per far evaporare l’acqua eccedente. Si produceva così una soluzione concentrata di salnitro con la precipitazione del cloruro di sodio.
  6. Cristallizzazione del salnitro in appositi vasi.
  7. Ultimo lavaggio del salnitro raffinato; asciugatura ed essiccazione su appositi telai.
  8. Immagazzinamento.

La nitriera borbonica nel Pulo di Molfetta

Il Pulo di Molfetta
 La nitriera borbonica, con i suoi cospicui resti di un articolato sistema produttivo, costituisce un esempio unico di archeologia industriale, riportato alla luce, dopo due secoli di occultamento, con gli scavi effettuati dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici della Puglia, a partire dal 1997. Nella seconda metà del XVIII secolo le grotte del Pulo, ricche di depositi naturali di nitrati, allora utilizzati per la produzione della polvere da sparo, richiamarono l’attenzione dei vertici militari borbonici e suscitarono negli ambienti scientifici europei un acceso dibattito per l’eccezionalità della scoperta.

 

 

 

 

1783: La scoperta

La casuale scoperta di nitro “naturale” nel Pulo si deve all’abate Alberto Fortis, membro
Abate Alberto Fortis

dell’Accademia delle Scienze di Padova, giunto a Molfetta su sollecitazione dell’erudito molfettese Ciro Saverio Minervini, che lo affidò all’abate Giuseppe Maria Giovene, scienziato molfettese dai vasti interessi.
Nel dicembre 1783 Fortis comunicò la notizia della scoperta al generale John Francis Edward Acton, ministro della guerra del Regno di Napoli, sottolineando la ricchezza e la qualità del deposito che, opportunamente utilizzato, avrebbe potuto contrastare l’ingiusto e diffuso sistema di appalto del salnitro. I contadini erano obbligati infatti a cedere lo stallatico, indispensabile per la concimazione dei campi, ad appaltatori privati, che ne facevano incetta per la produzione del nitro nelle salpetriere artificiali.



 

1784: La costruzione dell’opificio

L’incarico di compiere specifici accertamenti sulla qualità dei nitrati di Molfetta fu affidato al professor Giuseppe Vairo, esperto di scienze chimiche, e all’ingegner Francesco Vega, membri della “Commissione del Real Salnitro” appositamente costituita.
Constatata la validità della scoperta di Fortis, l’abate fu nominato consulente mineralogico del re e gli fu affidato l’incarico di organizzare la produzione.
L’attività estrattiva iniziò nel gennaio 1784, sotto la direzione del barone Graziano Maria Giovene, fratello del canonico.
Risale a quella data la costruzione delle prime strutture della nitriera ancora oggi visibili:

  1. la cosiddetta “III tettoia”, sul fondo della dolina, in prossimità delle grotte dalle quali si estraeva la materia prima. La struttura comprendeva la vasca per il lavaggio delle terre nitrose, col sottostante pozzo di acqua di falda e la grande cisterna per la raccolta delle acque piovane, con l’annessa vasca sub circolare;
  2. la cisterna per il deposito temporaneo del lisciviato, destinato alla cottura nelle fornaci della “I tettoia”. I recenti scavi hanno messo in luce un ambiente con volta a botte sotto un piano di basole, con l’imboccatura costituita da un grande blocco calcareo circolare. Alla cisterna è collegata una piccola vasca ovoidale per l’immissione e la decantazione del lisciviato, trasportato dalla “III tettoia” attraverso una scaletta basolata, oggi visibile.
  3. la “I tettoia” con le quattro fornaci per la cottura del lisciviato;
  4. la “II tettoia” per l’immagazzinamento e la cristallizzazione dei nitrati;



1786 — 1788: L’ampliamento

Negli anni 1786—1788 furono realizzate nuove strutture:
  1. sul fondo della dolina, accanto alla vasca già esistente, una nuova grande vasca in muratura, prima divisa in 6 “medre” (paratíe) di legno e successivamente in 12 medre in muratura. Tre canali sottostanti collegati alla vasca convogliavano l’acqua di lavaggio delle terre in due annesse vasche di raccolta interrate e raggiungibili con una scaletta a due rampe. Una copertura in legno e tegole sostenuta da 17 pilastri, proteggeva la struttura, raccoglieva le acque piovane, evitando che si mescolassero col lisciviato, limitava l’evaporazione ;
  2. il “fornello economico” a pianta circolare dotato di cinque fornaci, realizzato nel vano Est della “I tettoia” in aggiunta alle fornaci già presenti;
  3. il “Corpo di guardia” all’ingresso della dolina, a custodia dell’impianto e del prodotto soprattutto dai fedeli che accorrevano numerosi al Pulo il 6 novembre per la festa campestre di San Leonardo, portando masserizie di ogni genere, tra cui “focacce ripiene di fichi secchi e di mandorle abrostolite, dette volgarmente Calcioni di S. Leonardo”.



1791: La dismissione

Nel 1789 il conte svizzero Karl Ulysses von Salis Marschlins visitò il Pulo e, colpito dalla qualità e dalla quantità del deposito di nitro naturale, ne auspicò un opportuno utilizzo che avrebbe garantito al Regno introiti notevoli e, avvalorando la scoperta di Fortis. Ma questo non bastò a fermare il processo che portò rapidamente alla defunzionalizzazione e all’abbandono della nitriera.
Resti della Nitriera


Il clima politico era cambiato. La Rivoluzione Francese aveva fatto sentire i suoi effetti sul Regno Borbonico, che versava in uno stato di profonda crisi: la Repubblica Partenopea aveva segnato il momento delle grandi speranze, poi la reazione e la ripresa del regno da parte dei Sanfedisti del Cardinale Fabrizio Ruffo, fino alla riconquista francese del regno.
In questa temperie, di cui anche la città di Molfetta era stata partecipe, si collocò la fine della nitriera, ormai decadente e inadeguata rispetto ai piani di modernizzazione dello stato avviati nel Decennio Francese.
I decreti napoleonici del 1807 sull’amministrazione delle polveri e dei salnitri affidavano le sorti degli impianti all’ispezione di ufficiali appositamente delegati al controllo.
Il 25 ottobre 1808 l’ispettore generale delle nitriere e polveriere del Regno di Napoli , il chimico terlizzese Pietro Pulli, visitò la Real fabbrica di Molfetta, in compagnia di Giacinto Poli, ancora incaricato della direzione della nitriera. Le strutture ormai abbandonate, erano decadenti, il fondo della dolina era coltivato ad olivo, grano e fichi e in parte occupato dai cumuli di residui derivanti dall’attività estrattiva.
Nella relazione redatta al termine della visita, Pulli espresse giudizi durissimi nei confronti del ministro Acton, accusato di non aver effettuato i dovuti controlli sull’impianto e definì il Pulo “casmo affatto negato allo stabilimento di una nitriera”. Con ciò u decretata la fine della Real Fabbrica del Salnitro di Molfetta.

Il ciclo e le strutture di produzione

La dolina del Pulo costituisce l’esempio straordinario di un ciclo produttivo completo:
  1. le grotte ricche di nitrati offrivano disponibilità della materia prima;
  2. il territorio circostante garantiva l’approvvigionamento delle fonti di energia: il legname necessario all’alimentazione delle fornaci e alla produzione di ceneri ricche di potassa, l’acqua di falda e l’acqua piovana per la lisciviazione delle terre nitrose, la forza lavoro umana;
  3. nelle strutture della fabbrica la materia prima subiva tutti i necessari processi di raffinazione, fino alla realizzazione del prodotto.
La fase più importante e delicata del ciclo di produzione del salnitro era il lavaggio (lisciviazione) delle terre nitrose, che avveniva nella grande vasca della cosiddetta III Tettoia.
Strati di terra, alternati a paglia con funzione filtrante, venivano depositati nelle dodici medre e un canale, lungo 17 m., posto sul margine ovest della vasca, conduceva in ognuna di esse, attraverso fori di scolo, l’acqua attinta dal pozzo o dalla vicina cisterna.
L’acqua filtrava lentamente attraverso le terre, si impregnava dei nitrati in esse contenuti; passava, quindi, in tre allineamenti di fori protetti da coppi sul fondo delle vasche e si raccoglieva nei tre canali paralleli sottostanti le medre. Da tali canali l’acqua confluiva in due cisterne interrate, poste a sud delle vasche.
Se nel primo processo di lavaggio era stata impiegata acqua dolce, il lisciviato ricco di nitrati (NO3) poteva essere ancora versato sulle stesse terre e si arricchiva dei nitrati nuovamente generati.
All’acqua “madre” così ottenuta si aggiungeva una soluzione concentrata di potassa (K2CO3) ottenuta con la bollitura di cenere di legna e si originava il cosiddetto “liquore”, che veniva cotto nelle fornaci della I Tettoia. La cotta avveniva, a fuoco lento, in grandi caldaie per ottenere dopo l’evaporazione dell’acqua e la precipitazione del cloruro di sodio, la produzione di una soluzione concentrata di salnitro grezzo, che veniva ulteriormente raffinato a caldo con due successive cotte.
Il salnitro così ottenuto veniva conservato nel magazzino della II Tettoia, dentro vasi di ceramica, dove avveniva la cristallizzazione. Un’ultima operazione di lavaggio e di essiccazione su appositi telai all’aperto garantiva un prodotto raffinato.
Le quattro fornaci costruite con mattoni refrattari, hanno forma circolare con diametro medio m. 1,40 ed erano rivestite con intonaco di argilla. Interrate alla profondità di m.1,50 rispetto alla soglia di ingresso, per limitare la dispersione di calore, erano raggiungibili con una scala per l’alimentazione dei fuochi.
Il fornello economico è una struttura costruita nella fase di espansione dell’opificio; ha forma circolare, con diametro di m. 5,40 ed è divisa in cinque spazi per i forni.
La II Tettoia, poco distante dall’edificio dei forni, ospitava il magazzino per il deposito del prodotto.

fonte: http://pulodimolfetta.it/index.php/la-nitriera-boxsx?layout=blog

Rocco Michele Renna









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