L'origine della lingua italiana è il volgare fiorentino o no?



Machiavelli


"Le lingue non possono esser semplici, ma conviene che siano miste con l'altre lingue."
 - Niccolò Machiavelli


Il mondo conosce Dante come “il padre della lingua italiana” e l’italiano di conseguenza, come “la lingua di Dante.”   Ma  è  proprio merito di Dante? Quali sono state le influenze che hanno agito sull’evoluzione dell’italiano moderno?
Sappiamo che la lingua italiana si basa sul fiorentino?
 La nostra lingua deriva dal latino volgare, parlato in Italia nell'antichità; è una lingua romanza e fa parte del gruppo italico della famiglia delle lingue indeuropee. Oggi esistono diverse varianti regionali della nostra lingua, ma l'italiano moderno si basa sul fiorentino letterario utilizzato nel Trecento dalle “tre corone”: Dante, Petrarca e Boccaccio; tra il 1230 e il 1250 subì le influenze della Scuola Siciliana di Jacopo da Lentini.
L'italiano, come le altre lingue romanze, proviene dal latino volgare parlato dal popolo, detto anche volgo. Un dialetto cioè, che è si è diffuso in tutta la penisola, grazie a poeti e scrittori che lo scelsero per scrivere le loro opere.
Dante

mentre il latino fu la lingua dell’impero romano, che durò circa 500 anni. Gli antichi romani obbligavano il popolo a parlare il latino, ogni volta che conquistavano un nuovo territorio. Il latino parlato era diverso dal quello illustre usato dai letterati dell'epoca, il quale fu imposto al “nord” dell’impero e cioè in Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Romania. Gli antichi romani arrivati in Grecia invece, decisero di non introdurre il latino e lasciarono la popolazione greca libera di usare la propria lingua. La Grecia costituiva un centro culturale molto avanzato, grazie alla presenza di grandi filosofi. Gli antichi romani, affascinati dalla loro filosofia e cultura, fecero dei greci i loro maestri. Il latino continuò ad essere la lingua dei letterati fino ai tempi di Dante.   
Con il crollo dell’impero romano anche il latino cambia e si formano lingue diverse.
In Italia, da una regione altra si parla una lingua diversa, le lingue del popolo. Queste lingue chiamate “dialetti” sono in realtà vere lingue non solo parlate, ma anche scritte. Ognuna di queste ha la sua storia. Quelle del nord d’Italia ad esempio, sono diverse da quelle del sud perchè influenzate dal dominio straniero, che diede origini ai diversi dialetti regionali.

La lingua italiana è nata a Firenze? Brevissima storia della nostra lingua. Dal fiorentino volgare trecentesco all'italiano dei giorni nostri
Lo sapete che la lingua italiana si basa sul fiorentino? La nostra lingua deriva dal latino volgare, parlato in Italia nell'antichità; è una lingua romanza e fa parte del gruppo italico della famiglia delle lingue indeuropee. Oggi esistono diverse varianti regionali della nostra lingua, ma l'italiano moderno si basa sul fiorentino letterario utilizzato nel Trecento dalle “tre corone”: Dante, Petrarca e Boccaccio; tra il 1230 e il 1250 subì le influenze della Scuola Siciliana di Jacopo da Lentini.

In sostanza l'italiano standard dei giorni nostri deriva dal fiorentino volgare trecentesco, depurato dalle sue connotazioni locali. Ma in realtà già dalla fine del Trecento la lingua che veniva utilizzata a Firenze si era distanziata da questo modello linguistico, che in seguito fu codificato da letterati non fiorentini, a partire da Pietro Bembo nelle “Prose della Volgar Lingua”. Dalla seconda metà del Cinquecento fu usato per la scrittura in tutto il Paese e proprio a partire da questa fase gli storici della lingua iniziarono a parlare di “lingua italiana”.
L'italiano, però, rappresentava la lingua di uso quotidiano per pochi. Nella seconda metà dell'Ottocento Alessandro Manzoni propose di “sciacquare i panni in Arno”, cioè di adottare il fiorentino come lingua ufficiale dell'Italia ma depurato, appunto, dagli aspetti più “dialettali”, così che ci potesse essere una lingua comune, visto che l'Italia stava per diventare una nazione; fu ciò che propose attraverso la sua opera più importante, “I Promessi Sposi”. Oltre all'unificazione politica e alla prima guerra mondiale, fondamentale nella diffusione della lingua fu poi l'avvento della televisione. Facendo un passo indietro, il primo poeta in lingua italiana è considerato Dante Alighieri, ma in realtà i primi componimenti poetici in lingua volgare furono di Francesco d'Assisi e Jacopone da Todi.
Ma siamo sicuri che la vera origine della lingua italiana è il volgare fiorentino?
 E invece no!
Federico II di Svevia

Nel XIII secolo (1220 circa), presso la corte di Federico II a Palermo, in Sicilia, si forma una schiera di poeti che scelgono di usare il dialetto siciliano per comporre le loro opere. Federico II era un uomo molto colto, che parlava il tedesco, il francese, che conosceva bene il greco, il latino, l'arabo,  il volgare siciliano, e l'ebraico. Per la sua curiosità intellettuale era conosciuto come "Stupor Mundi” (meraviglia del mondo). Alla corte reale di Palermo, dal 1220 al 1250,  furono create le prime opere di forma letteraria in una lingua romanza, il siciliano. La poesia che veniva prodotta dalla scuola siciliana, ebbe una notevole influenza sulla letteratura italiana e su quella che sarebbe diventata poi, la moderna lingua italiana. Sia la scuola siciliana che la sua poesia furono salutate con entusiasmo da Dante e dai suoi contemporanei letterati. <De Vulgari Eloquentia ha sviluppato la questione della lingua nazionale ed elaborato un tentativo per risolverla. Il dialetto fiorentino, secondo Dante, era il più semplice e facile da capire in tutta la penisola.
La prima canzone scritta in siciliano è Madonna, dir vo voglio, del Lentini, che è un fedele rifacimento di una canzone di Folchetto di Marsiglia.
Ben più importante di questi contenuti è lo stile delle poesie. I poeti siciliani usarono come strumento linguistico di partenza il volgare dell'isola e non una varietà letteraria sovraregionale, come nella lingua dei trovatori. Il volgare siciliano viene perfezionato nel lessico e nella sintassi, modellandolo sull'esempio del latino usato dagli intellettuali e arricchendolo di molte parole provenzali tradotte.
Con la morte di Federico II (1250), cui seguì il rapido declino del dominio imperiale nel Mezzogiorno, conteso da Angioini e Aragonesi, la scuola ebbe termine. Quasi nessun manoscritto meridionale ci è giunto dei Siciliani, e i modesti poeti insulari del XIV sec. sembrano ignorare completamente i loro illustri predecessori.
L'eredità dei poeti federiciani fu raccolta nell'Italia centrale dai cosiddetti poeti siculo-toscani (solo grazie ai canzonieri toscani oggi possiamo leggere, seppure in forma non originale, la poesia dei Siciliani), e in un ambiente culturale più avanzato: Firenze, dopo la battaglia di Campaldino (1289) era diventata una capitale economica europea, in fase di espansione per tutta la Toscana. Il maggior poeta fu Guittone d'Arezzo (1235-94).
La tradizione siciliana viene dunque proseguita in Toscana perché molti intellettuali di questa regione erano vissuti per vario tempo alla corte di Federico II. Qui i componimenti ispirati al tema dell'amore non si discostano dai motivi cari ai siciliani e ai provenzali, però la preoccupazione -essendo le condizioni politico-sociali delle città toscane molto sviluppate- è quella di fare una lirica dotta, erudita, in uno stile complesso-difficile-ricercato. Inoltre non mancano i temi politici, soprattutto quelli dedicati a Firenze.
Dopo la morte di Dante, Boccaccio e Petrarca, ci fu una pausa di opere scritte in volgare. Si torna a scrivere in latino classico, quello usato dagli antichi romani. Ci sono stati molti altri scrittori importanti e si arriva al Rinascimento con Pietro Bembo (1470-1547) e Niccolò Machiavelli (1469-1527). Machiavelli, anche lui politico, sosteneva che il fiorentino fosse l'unica lingua in grado di dare origine a una efficace diffusione linguistica nazionale.

"Non si può trovare una lingua che parli ogni cosa per sé senza aver accattato da altri."-Machiavelli

Signori e signori da queste ricerche possiamo ben dire che il seme della lingua italiana è il siciliano della corte federiciana, ancora una volta dobbiamo ringraziare lo Stupor Mundi e non il toscano della quale si sciaquano la bocca gli storici moderni influenzati dall'oscuramento revisionistico savoiardo
Rocco Michele Renna

http://www.mauriziopistone.it/testi/discussioni/storialingua_siciliano.html
http://babylonpost.globalist.it/Detail_News_Display?ID=78159

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