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Vincent van Gogh - Il mietitore con la falce |
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Ci approsimiamo al periodo della mietitura, un tempo era un rito di sudore ma allo stesso tempo di fratellanza e di festa alla fine della mietitura , avrei voluto scrivere un articolo ma il Prof. Michele Gismundo
ha saputo farlo molto bene prima di me e voglio trascriverlo per voi, questa è la mietitura della mia città "Gravina in Puglia" o meglio era...
Rocco Michele Renna
Il mietitore, con quel sudore che non smetteva di scendere a rivoli dalla fronte
La mietitura del
grano durava dai 15 ai 20 giorni. Il lavoro dei mietitori iniziava alle
prime luci dell'alba. Si cominciava a mietere il grano con il fresco del
mattino, per proseguire poi per il resto della giornata. Si lavorava
sotto il sole cocente del mese di giugno. Così i mietitori indossavano
il cappello e le donne un fazzoletto chiaro per proteggersi il capo dal
sole. Arrivavano a Gravina i mietitori da altre località, portando con
sé le falci e un fagotto contenente una coperta e un cambio di camicia e
pantalone. In paese andavano ad occupare la piazza dove a gruppi si
mettevano a disposizione dei proprietari dei campi e sempre qui alla
sera pernottavano sotto le stelle. I proprietari ( per essi il massaro
di campo) che ne avevano bisogno li passavano in rassegna valutandone
con sguardo esperto, per simpatia, le ca
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Prof. Michele Gismundo |
pacità e l'efficienza, quindi li
assumevano nel numero che ritenevano necessario alle loro esigenze.
Gravina, col suo territorio agrario di quasi 42.000 ettari, quasi tutto
coltivato a frumento, aveva bisogno di mietitori dei paesi vicini nel
mese di giugno. E in piazza delle Some (oggi piazza Notardomenico) si
svolgeva il mercato delle braccia, per l'ingaggio della mano d'opera. Lì
passavano la notte i mietitori forestieri, e al mattino partivano con i
mezzi del padrone, caricati sul grande traino ("u carr'toun") e
trasportati a destinazione. I mietitori si disponevano uno accanto
all'altro, dinanzi al proprio filare di frumento dorato e ricurvo e
pronto per essere mietuto. Il caldo spesso era tanto ed afoso: mancava
il respiro e il sudore non smetteva di scendere a rivoli dalla fronte,
dalla faccia, da tutto il corpo. Era necessario di tanto in tanto
sospendere per un po' il lavoro per dar modo ai mietitori di dissetarsi
con l'acqua fresca o col vino del fiasco tenuti al fresco e di darsi
un'asciugata in fretta e alla meglio. L'acqua era contenuta nel
contenitore di argilla, " l'amlicch", il vino era invece contenuto nella
fiasca di cinque litri. Entrambi i recipienti erano muniti di un
cannello di canna all'imbocco, si beveva tutti a garganella, senza
posare le labbra vicino al cannello. Si beveva così anche per ragioni
igieniche. I mietitori dietro di loro lasciavano un gran numero di
mannelli, quei piccoli fasci di grano che venivano raccolti ed uniti in
covoni (" l' gregn"). Il mietitore sapeva usare la falce senza crearsi
infortuni: usava dei pezzi di canna incanalati nelle falangi delle dita
della mano sinistra, e sull'altro braccio ben legato, un pezzo di cuoio,
per evitare le abrasioni cutanee degli steli secchi delle spighe.
Indossavano pantaloni lunghi e scarponi i mietitori, mentre indossavano
calze spesse le donne per evitare

lacerazioni alle gambe. Al collo
l'immancabile fazzoletto rosso a quadratini chiari, per asciugare il
sudore che colava della fronte, abbondante. Il mietitore era abile a
legare e a costruire covoni, da trasportare poi sull'aia per la
trebbiatura. Mangiavano più volte al giorno: prima di cominciare, verso
le cinque del mattino, si dava loro del pane e formaggio ("nu'
muzzch'"), verso le nove si prendevano un altro boccone, magari con un
po' di lardo e qualche peperoncino piccante, pomodoro e cipolla e con
vino sempre in abbondanza. Poi c'era la sosta per il pranzo di
mezzogiorno, spesso preparato e portato sul campo, fatto con pasta di
casa, con il sugo di pomodoro o con fave, lenticchie, cicerchie,
accompagnati da qualche pezzetto di carne e formaggio. Non mancavano mai
i pomodori, i peperoni dolci fritti oppure i peperoncini piccanti, le
cipolle e qualche frutto di stagione. Alla sera, verso le otto o le
nove, i mietitori ritornavano in paese. Quelli assunti dai grandi
proprietari terrieri di solito non tornavano alla sera in paese perché
si fermavano a mangiare e a dormire nelle masserie dei

latifondisti. E
per cena un piatto caldo e un bicchiere di vino. Per la paga, spesso,
bisognava attendere la vendita del grano prodotto. Certo era un rito
importante quello della mietitura nella vita del contadini del Sud.
Venivano coinvolti tutti i componenti della famiglia. Nessuno disertava.
E il paese si affollava di traini che trasportavano covoni dai campi
alle aie per la trebbiatura.
Michele Gismundo
Michele Gismundo, La ricostruzione a Gravina in Puglia 1943-1947, Tesi di Laurea, Urbino 1992
Michele Rigato, E così fu. Attraverso il Novecento ricordi per l'Italia di oggi, Pianetalibero editore, Avigliano 2003
Saverio La Sorsa, Fiabe e novelle del popolo pugliese, Edizioni di Pagina, Bari 2014
http://www.gravinaoggi.it/il_mietitore.html
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