IL TESTAMENTO DI don LIBORIO - PADRE D'ITALIA



Michele Ladisa


*Di Michele Ladisa
Un padre dell’italica patria , Liborio Romano,  dimenticato da tutti, scartato anche dai conquistatori savoiardi, viene rispolverato da Umberto Rey per cercare di aprire (o scatenare) un nuovo dibattito su questa figura controversa del Risorgimento.


L’Umberto nostrano si è dato un gran da fare mettendo sul campo una novità editoriale e teatrale con qualche possibilità che possa diventare anche cinematografica.
La rappresentazione teatrale, dotata di pochi mezzi,  è senza dubbio una coraggiosa opera, con qualche buona idea scenica, accettabili interpretazioni dei personaggi, poco briosi i dialoghi, lamentoso o piagnucoloso quello di Don Liborio.
Liborio Romano
In primo piano non emerge l’uomo o il politico Don Liborio ma  la sua “coscienza”.
Chi immagina di trovarsi inequivocabilmente dinanzi a un becero traditore, ad un trasformista per eccellenza, ad un venduto senza scrupoli, ad un Giuda che finisce giustamente con il suicidio, sbaglia di grosso in partenza.  L’uomo che si ha davanti è un vecchio in crisi dell’io profonda: voleva l’italia, l’ha amata e bramata. Per essa ha tradito la sua vera Patria ,le Due Sicilie, finendo per restarne tradito.
Fu giusto o sbagliato vendersi all’italia?  Un dubbio lacerante, irrisolto, che fa da sfondo in tutta l’opera e che s’intende porre come interrogativo al pubblico.
In definitiva va in scena la discussione, cosa lodevole e di non poco conto, sull’unità italiana avvenuta per annessione, per tradimenti, per malaffare (anche la camorra ha la sua parte).
Umberto Passaquindici “Rey”, meridionale desideroso di far emergere la vera storia in chiave più che buonista, evidenzia incessantemente di essere un convinto e fiero  italiano sino alle radici più profonde del suo animo, del suo essere e del suo vivere.  Infatti la sua opera non può che terminare con un clamoroso “volemese bene” perché “siamo tutti italiani da nord a sud” nonostante un buon paio d’ore teatrali inzuppate di sfrenati e laceranti dubbi su quel che avvenne 156 anni fa.

In questo, il Rey sembra un medium che parla con voce del Liborio, chiedendo, supplicando comprensione, comunque sia e al di là di tutto.
L’italianità indiscussa del Rey la si intravede facilmente sin dal titolo della sua opera ( il Romano padre della patria, sic !) la si nota negli sviluppi dei passaggi teatrali, la si conferma anche nelle presentazioni editoriali quando dichiara con sicurezza:  la reazione brigantesca e la repressione piemontese furono atti di guerra civile, non certo una reazione del popolo sovrano delle Due Sicilie alla carneficina di un altro Stato invasore, quello di Piemonte.
Insomma qualcosa di presentabile e masticabile per italiani, assolutamente indigesta, velenosa, inquinante per quanti si adoperano per affermare senza mezzi termini, con decisione e determinazione le ragioni storiche del territorio e del popolo delle Due Sicilie.
Di Michele Ladisa
articolo dell'editoriale Onda del Sud, ritrasmesso tal quale
onda del sud
Ma chi era in realtà Liborio Romano

Eleaml



IL BOIA DELLE DUE SICILIE
Il ritratto di questo personaggio, l’essenza del traditore tipo, per giunta sembra successivamente anche pentito, è quello di un uomo abbastanza vanesio, inconsapevole di quello che faceva e vagamente idealista. Un personaggio esemplare, dunque, per essere adoperato dagli invasori piemontesi per compiere atti devastanti all’interno dello stesso governo duosiciliano. Da evidenziare che fu proprio lui che consacrò definitivamente l’intreccio politica-delinquenza nel Sud, i cui effetti sono ben visibili ancora ai nostri giorni, come ci mostra la scoperta fatta a Napoli il 20 ottobre scorso di una loggia massonica che cospirava con la camorra per condizionare la vita politica.
Il dramma di quei tragici giorni in cui si determinò la fine delle Due Sicilie fu che gli avvenimenti si svolsero in una atmosfera di incredulità da parte della dirigenza delle Due Sicilie. Incredulità abbastanza comprensibile perché i tradimenti erano talmente evidenti da far quasi credere non fossero reali. Del resto la politica estera delle Due Sicilie era sempre stata di stretta neutralità, rivolta soprattutto al benessere interno, per cui la ingiustificata aggressione da parte di uno Stato straniero era, per quella dirigenza, del tutto impensabile e, quindi, nulla era stato preparato per fronteggiare il terribile evento dell‘invasione piemontese.
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insomma un traditore della propria terra che ha condannato i suoi fratelli e la loro discendenza nella più becera colonia italiana, creando la questione meridionale Rocco Michele Renna

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