QUANDO IL NORD ERAVAMO NOI - libro di Castrese Lucio Schiano
QUANDO IL NORD ERAVAMO NOI
2015
Quando
il Nord
eravamo noi
eravamo noi
RETTIFICA
A volte, nel
diffondere notizie o idee, specialmente se esse riguardano argomenti di una
certa delicatezza ( o scabrosità, se si preferisce), si dà per scontato che le
fonti consultate per documentarsi si siano preoccupate di fare una scrupolosa
verifica del contenuto delle proprie affermazioni. Quando ciò non dovesse
avvenire, coloro che in buona fede hanno dato credito alle informazioni attinte
da tali fonti diventano a loro volta e del tutto involontariamente divulgatori
di notizie poco attendibili o addirittura false.
La presente
rettifica viene fatta per correggere un’inesattezza riportata a pagina 45, e
precisamente quella relativa al terzo posto mondiale assegnato al Regno delle
Due Sicilie nel corso dell’Esposizione Universale di Parigi del 1855 (e non
1856, come riportato). In nessun archivio sono stati trovati documenti a
conferma di tale affermazione, per cui, a dimostrazione della buona fede con
cui è stato portato avanti il lavoro, si ritira l’asserzione, rassicurando, nel
contempo, che, qualunque altra inesattezza che dovesse emergere verrà trattata
alla stessa maniera.
Castrese Lucio Schiano
La soddisfazione per chi
scrive qualcosa su qualunque argomento è rappresentata sicuramente
dall’interesse che suscita nei lettori
l’oggetto preso in esame e dal modo in cui esso viene trattato.
Per “interesse” non va intesa ovviamente
una condivisione acritica delle idee trasmesse dall’ autore,perché una tale
evenienza sarebbe poco gratificante per quest’ultimo . Certo,per convergenza di
vedute,potrebbe anche verificarsi l’ipotesi di una condivisione immediata ed
incondizionata delle idee enunciate dall’autore. Potrebbe,però,.verificarsi
anche l’ipotesi dell’instaurarsi di una polemica,che,se non sterile,pretestuosa
e messa in atto per puro spirito di contraddizione,potrebbe addirittura rivelarsi utilissima sia per una
chiarificazione che per un accrescimento dell’argomento in discussione.
Il desiderio che affido a queste
righe,quindi,è veramente quello di suscitare un interesse anche minimo intorno
all’argomento trattato. Per quanto riguarda il “modo” in cui affronterò – da
semplice dilettante,ma da persona emotivamente interessata e coinvolta - il più
delicato periodo della nostra storia nazionale,posso fornire le più ampie
rassicurazioni sul fatto che cercherò di affrontare l’argomento uniformandomi
al massimo dell’onestà intellettuale che mi consentiranno il mio animo e la mia
mente,augurandomi che anche i lettori cerchino di spogliarsi di ogni
prevenzione per giudicare,con la stessa predisposizione, i vari argomenti
offerti alla loro attenzione ed alla loro riflessione.
Ad una lettura affrettata e superficiale
la mia posizione potrebbe apparire in disaccordo con l’ormai diffuso e radicato
sentimento di unità nazionale . Posso assicurare che un tale sentimento non
intride queste pagine e,quindi, considero eguali e degni dello stesso rispetto
tutti gli abitanti della nazione. Vorrei
sperare che un tale sentimento – per quella “fratellanza” che ormai dovrebbe
aver fatto presa nei nostri cuori - lo
provassero anche tutti gli altri.
Per rendere subito evidente questa mia
disposizione d’animo,allorché mi accingerò ad affrontare un qualunque momento
della storia del nostro Risorgimento,ogni volta che mi sarà possibile ricorrerò
ad esempi distillati non da alchemici sofismi ma discendenti dai comuni
princìpi dalla logica secondo cui il bianco è bianco e il nero , nero;senza
“se” e senza “ma”. Mi auguro solo di
riuscire nell’intento.
( C. S. )
Da quando l’uomo ha cominciato a registrare la propria storia essa è
sempre stata scritta dal vincitore,per cui avvenimenti,situazioni e personaggi
vengono tramandati ai posteri solo dopo attente,continue e severe
revisioni,epurazioni o addirittura ablazioni totali. Il costante ricorso a tale
pratica nasconde,mistifica o elimina del tutto comportamenti scorretti o azioni
comunque riprovevoli al giudizio dei posteri. Cosicché – per tutte le storie di
tutti i popoli – quando,a seguito di fortunosi ritrovamenti, si ha modo di
venire a conoscenza di documenti afferenti resoconti in contrasto con quanto
tramandato da quella che è diventata nel frattempo la storiografia
ufficiale,chi è interessato ad un processo di riabilitazione è costretto a scrivere una controstoria,con
tutte le problematicità che essa comporta,e questo già mette la parte
interessata in una condizione di
svantaggio,in quanto essa , già offesa nelle sue radici e nella sua memoria,deve
intentare prima un processo riabilitativo per cercare di riguadagnare
l’onorabilità ed il rispetto di cui è stata defraudata a seguito di una
deprecabile,sistematica, scientifica ed inspiegabile opera di falsificazione e
poi sperare di poter discutere “ alla pari “ con la parte che si è resa
responsabile della diffamazione che l’ha caratterizzata e connotata.
E’ da dire subito che non sempre
l’operazione di riabilitazione raggiunge lo scopo,in quanto per più di un
secolo e mezzo – come dimostra la nostra recente storia - tutte le bugie e
tutti i falsi storici che hanno preceduto ed accompagnato il nostro
Risorgimento,per un fenomeno di stratificazione protrattosi così a lungo e sul
quale è stato sempre impossibile intervenire, hanno formato la coscienza
storica di ben sei generazioni;e poiché,l’imposizione a mantenere i segreti –
successivamente definiti vergogne - sono stati tenuti gelosamente custoditi da
tutti i governi che si sono succeduti dal 1861 in un armadio definito appunto
l’armadio
delle vergogne,la storia insegnata in tutto questo tempo è stata presa
per l’unica vera,in quanto,non avendo accesso al detto armadio (di cui si era
venuti a conoscenza solo per la testardaggine di un convinto meridionalista
che,grazie all’immunità raggiunta con l’elezione alla Camera dei Deputati,ha
potuto cantare peste e corna a tutte le istituzioni che si sono rese
responsabili di tale occultamento) tutti erano convinti che,non esistendo alcun
documento contraddittorio,la verità fosse rappresentata davvero dalle bugie
raccontateci;bugie di cui fortunatamente si è trovata traccia nei manoscritti originali degli stessi autori,di
loro amici o di loro sostenitori e,quindi,esenti da ogni sospetto.
Ora,prima di esaminare nel dettaglio – ed in maniera non certo esaustiva
- questo delicato periodo della nostra storia, perché molti carteggi sono stati
distrutti (come quelli relativi ad alcuni scabrosi particolari delle relazioni
sentimentali del conte di Cavour,acquistati a Vienna da Costantino Nigra “ a qualsiasi costo “ e da questi bruciati
su ordine del re,oppure come i documenti contabili della spedizione
garibaldina, mandati a recuperare in Sicilia al contabile della
spedizione,Ippolito Nievo;documenti di cui i contemporanei e i posteri non
hanno potuto prendere conoscenza,perché la nave che trasportava il Nievo si
inabissò, senza lasciare la minima traccia,con tutte le casse nel tratto
di mare tra Palermo e Capri!) domandiamoci perché la classe politica,il potere
militare ed il mondo della cultura hanno avuto interesse a mettere in atto
questo insabbiamento. Ovviamente la prima risposta alla domanda è una delle più
ovvie e cioè quella che, fatta bene o male l’unità della nazione, non era il caso di sottilizzare,ma conveniva
adeguarsi alla mutata situazione e salire sul carro dei vincitori,senza
chiedersi se questi fossero o no dei galantuomini.
Presa la decisione,condividere le scelte politiche e gli orientamenti
culturali del nuovo Stato fu una naturale conseguenza. La parte più riprovevole
di tale scelta,però, non
sta,certo,nell’aver deciso di salire sul carro del vincitore,perché tra i comportamenti
umani,questo è il più comune,ma
nell’aver tramandato alle
generazioni future della nazione e di aver diffuso a livello mondiale una falsa
immagine di una terra che perfino gli dei che precedettero le religioni
storiche avevano creata ed eletta come Paese del sole,del bel canto ,del popolo
più cordiale,aperto e disponibile che si possa incontrare sulla faccia della
terra. Questa terra e questo popolo che dall’inizio, e per millenni, erano
stati invidiati da tutti per quei ”doni “
e tutte quelle positività, all’improvviso,grazie all’ opera calunniosa messa in
atto da un falso popolo fratello, diventarono una terra
improduttiva,una landa desolata,un popolo di imbroglioni,di assassini,di
briganti,di approfittatori e di sottosviluppati.
Se i politici , gli storici e gli uomini di cultura che
autorizzarono questa calunnia, si
fossero semplicemente limitati a tramandare ai posteri,per moralmente corretti,
i comportamenti e le azioni dei protagonisti del Risorgimento , la cosa poteva
anche passare per un atto di coerenza con la scelta fatta e poteva anche essere
compresa,pur se non giustificata. Ma far passare per il regno delle tenebre e
del male assoluto il Meridione, paese del sole,del bel canto e della gioia di
vivere per antonomasia,il Paese le cui
ceneri e le cui risorse hanno finalmente soddisfatto la sete di liquidità di
uno Stato in perenne disavanzo economico,rimpinguandone le casse e
determinando,così, il decollo del Settentrione
è stata la più grande nefandezza,la più imperdonabile delle infamie. E’ stato così costante,questo
martellamento,e condotto con tale accanimento,che ancora oggi le popolazioni
meridionali (dalla cui spoliazione e dal cui sangue ha preso avvio il tanto
decantato triangolo industriale ) sono trattate come paria quando hanno occasione di varcare i confini di quello che fu
il loro Regno. Meno male che,grazie al fatto di far parte dell’Europa,non viene
loro chiesto addirittura il passaporto !
Grazie a quest’immagine falsa costruita da alcuni personaggi con
l’incessante impegno,al quale cominciarono
a dedicarsi già da una ventina di anni prima che venisse fatta circolare
tra le masse la parola “ unità “ ,una parte considerevole della
popolazione della Nazione Italia,nella stessa nazione d’origine e di
cui,geograficamente, è stata la parte più estesa e quella più coesa dal punto
di vista politico e linguistico, se è fortunata,viene,con sufficienza,
considerata allo stesso livello degli extracomunitari dell’Africa. Se poi ha la
sventura di essere oggetto delle considerazioni di qualche padano doc,si accorge di continuare a rappresentare un problema per
questa virtuosa e onestissima parte della nazione,la quale
sarebbe felicissima di offrire una buona occasione di lavoro ai fratelli del
Meridione in immensi opifici sovrastati dalla scritta “ ARBEIT MACHT FREI” nei
quali,a inizio e a fine turno, sarebbero previsti pure servizi come la disinfezione ed una
sterilizzazione così accurata da lasciare,di questi fratelli,solo le ceneri,da non disperdere,nel modo più
assoluto,nelle sacre acque della Padania, in modo da non contaminarne la
purezza.
Queste affermazioni non sono parole ad
effetto usate artificiosamente per catturare l’attenzione e le simpatie dei
lettori. (Fatto scomparire fisicamente il popolo e cancellatane la memoria,del
Risorgimento non sarebbe mai stato necessario scrivere una controstoria).
Proprio per evitare,infatti,il verificarsi
dell’ipotesi cui si è appena fatto cenno,subito dopo l’unità,il governo
italiano,nelle persone del ministro degli esteri Luigi Menabrea e del generale
Luigi Cadorna,indirizzarono a più riprese all’Inghilterra (che ebbe un ruolo
non secondario in quella che fu la nostra shoah
) una petizione,intesa ad ottenere la concessione,a qualunque titolo,di un
pezzetto di mondo in qualunque parte del globo,purché in regioni le più remote
possibili,ove trasferire il popolo che avevano detto di essere andati a
liberare. La richiesta non andò a buon fine perché l’Inghilterra,che in
politica estera non era certo uno stinco di santo,provò tanto schifo per questa
cattiveria che l’esperto britannico per le colonie – lord Granville –
interruppe i rapporti col generale Cadorna. Se le cose fossero andate
diversamente,gli storici odierni non avrebbero avuto alcun bisogno di scrivere
una controstoria in quanto,nei piani
dei liberatori era già stata
programmata la diaspora dei fratelli
liberati,che non avrebbe lasciato alla storia né la questione né il popolo meridionale. Ed il silenzio avrebbe coperto
tutto!
Queste affermazioni non vengono fatte per
fomentare discordie né per alimentare quelli che ormai dovrebbero costituire anacronistici e
superati sentimenti di odio o di velleità separatiste né,tanto meno, per
proporre un criterio di giudizio secondo il quale stabilire se e chi,delle due
macromolecole che costituiscono la nostra nazione,debba essere rispettabile per
antonomasia e chi vituperabile ad libitum
ed a priori .
In considerazione di quanto appena
detto,quindi, non ci meravigliamo che la storia
relativa all’unità d’Italia sia stata scritta nel modo che conosciamo. Non deve
destare stupore,quindi, se un Dumas
(regolarmente pagato dal Garibaldi con i soldi sottratti al Sud ) o un Abba
(storiografo dell’ impresa),ne abbiano parlato come di un eroe ed abbiano presentata
la spedizione dei Mille circonfusa
dello stesso alone mitico dell’ impresa degli Argonauti;né dobbiamo
meravigliarci di come le cronache e la stampa della epoca (Agenzia Stampa di
Guglielmo Stefani ) abbiano tramandato un’invasione proditoria (senza
dichiarazione di guerra e in dispregio di tutte le convenzioni internazionali
che regolavano la materia) per una liberazione, ed abbiano fatto passare una
guerra di conquista,una pulizia etnica e decenni di occupazione militare e
leggi marziali per una libera e plebiscitaria decisione delle
popolazioni interessate. Non ce ne meravigliamo. La cosa è comprensibile,poiché
la cronaca di quegli avvenimenti veniva scritta dai vincitori nel momento della
vittoria e quindi non poteva che essere tramandata nel modo in cui lo è stata.
Quello che non riusciamo a spiegarci invece,è il perché a distanza di oltre un
secolo e mezzo,cioè dopo un salto di sei generazioni,quando è venuto fuori che
la storia finora insegnataci era assimilabile più ad una “storiella” che all’onesto resoconto di
fatti e avvenimenti,ci si ostini ancora a voler spacciare per vero ciò che,in
un clima di maggiore apertura, viene continuamente smentito da una più serena
analisi del momento storico, continuando
a far passare per eroi persone che tali non sono. E’ accaduto così che i nordici fedeli al re savoiardo sono
stati additati come esempio di lealtà nei riguardi del loro re. Cosa
giustissima. Ma perché,poi,quei sudici
che hanno dato lo stesso esempio di lealtà nei confronti del proprio
re,scendendo in armi contro l’invasore,sono stati bollati con l’infamante
epiteto di briganti ? La cosa risultò
strana perfino ai contemporanei,facendo affermare al generale francese Gemeau :
<< Tra le osservazioni fatte sui
disordini nel Reame di Napoli,si accenna alla differenza che fanno oggi i
rivoluzionari fra polacchi e napoletani,chiamando questi briganti,mentre sono vittime delle più feroci persecuzioni,e quelli
insorti. Ma è pur vero che gli uni e
gli altri difendono il loro paese,la loro nazionalità,la loro religione al
prezzo dei più duri sacrifici>>.
Relativamente alla “ distorsione “ delle notizie,gli elementi per rettificare le “ inesattezze “ (ossia i
falsi storici consegnati ai posteri) li ricaviamo,senza alchimie,dai
documenti delle stesse persone che sono state artefici del Risorgimento o da
quelli di amici,simpatizzanti o collaboratori. Dall’analisi di tali documenti emerge in
maniera inequivocabile che la storia finora insegnata nelle nostre scuole,di
ogni ordine e grado sarebbe tutta da riscrivere in quanto i fatti registrati
dalle cronache [come le notizie manipolate
e diffuse artatamente dall’agenzia di stampa Stefani (2)] erano già dei falsi
al momento della prima stesura:cosa che ci impegniamo a dimostrare attingendo,come detto,ai documenti
prodotti dagli stessi artefici del Risorgimento,attraverso i quali dimostreremo
pure come la distruzione del Sud per rendere possibile l’unificazione
dell’Italia, così come è stata concepita fin dagli inizi, non sia stata altro
che un delitto premeditato,un
complotto in cui nulla fu lasciato al caso e in cui ogni dettaglio fu curato
nei minimi particolari.
La volontà di imprimere alla storia della Penisola il corso che poi essa
ha avuto,non certo originata da sentimenti di patriottismo o di
fratellanza, occupava l’animo ed il
cuore sia del sovrano sabaudo che del
suo ministro da un bel po’ di tempo:all’incirca da quindici - sedici anni
prima, quando,per saggiare il terreno,fu organizzata una prima prova tecnica con la spedizione dei
fratelli Attilio ed Emilio Bandiera (25 luglio 1844),seguita poi da quella di
Carlo Pisacane (giugno 1857).
Qualche luminare del sapere si è mai chiesto perché né l’una né l’altra
spedizione ebbero l’appoggio delle masse che,per forza,i piemontesi volevano liberare ? Ma da chi? Da che cosa?
Prima della seconda spedizione, però,alle cronache dell’ epoca fu
consegnato un altro dei tanti falsi che andarono poi a formare il contenuto dei
libri di testo su cui siamo stati costretti a formarci la nostra coscienza
storica:la famigerata lettera del 17 luglio 1851 di lord Gladstone sul sistema
carcerario e giudiziario nel Regno delle Due Sicilie. (3)
Ma partiamo dall’inizio.
Poiché impossessarsi di tutta l’Italia – e particolarmente del Regno
delle Due Sicilie - era il chiodo fisso
sia di Vittorio Emanuele II che di Cavour,le varie diplomazie , gli agenti
segreti ed i sobillatori sparsi un po’ dovunque – sempre sotto l’accorta e
continua regia del Cavour,d’intesa con Vittorio Emanuele II – erano in costante
attività per unire tra loro i vari fili che ognuno intrecciava per tessere la
rete che avrebbe imprigionato definitivamente l’Italia regalandole una
monarchia ,una forma di governo ed un’altra di tassazioni non volute,non
richieste e dichiaratamente non gradite.
Il Cavour,che era massone come Garibaldi e come Napoleone III,mise in
moto le massonerie di tutto il mondo per raccogliere fondi per la spedizione
dei Mille. (4) Ma l’operazione più riuscita fu quella relativa al remake della figura mitica e romantica di Garibaldi così
come poi è stata definitivamente immortalata nei libri di storia,per la quale
operazione si rimanda all’abbondante letteratura esistente sull’argomento.
Forse,per il loro grande numero o per il fatto che alcuni atti sono
stati volutamente distrutti (ciò che avviene in tutte le epoche e in tutte le
parti del mondo, quando qualunque vincitore
fa scrivere la propria storia), non sarà mai possibile conoscere tutte
le azioni sporche che connotarono fin dagli inizi la storia del “ Risorgimento “,azioni così sporche da non poter essere
portate a conoscenza nemmeno delle Potenze che offrirono il loro appoggio e
che,per essere occultate,richiesero la connivenza di tutta una parte della
nazione:mondo della cultura, politica, finanza,industria,ognuna delle quali,per
le proprie competenze,si incaricò di
creare tutte quelle menzogne che,per coprire l’incommensurabile enormità ed
atrocità del male inferto ad un popolo che se ne stava per i fatti
suoi,dovevano apparire di gran lunga superiori al male commesso,in modo che le
stragi perpetrate sembrassero una naturale e necessaria reazione per eliminare
la parte malata della nazione. E di qui tutti gli stereotipi che ci hanno fatto
conoscere per quello e per quelli che non siamo in tutto il mondo. Di alcune di
queste azioni cominceremo a parlarne adesso per dimostrare come l’ unificazione
dell’’Italia fosse stato un evento non generato dalla “pienezza dei tempi”,né
dal desiderio di riscatto di una
parte della popolazione,ma una creazione
freddamente studiata a tavolino che aveva come obiettivo premeditato sia la
scomparsa che la damnatio memoriae di
un intero popolo,creando le condizioni per costruirsi un alibi,che – solo
apparentemente – potesse servire per
giustificare le violenze,le ingiustizie
ed i soprusi commessi ai danni di
popolazioni che non solo non avevano alcun motivo di temere un’aggressione,ma
che venivano continuamente rassicurate proprio del contrario!
Violenze,ingiustizie e soprusi
opportunamente manipolati e fatti arrivare ai posteri come richieste di
aiuto lanciate dalle stesse popolazioni che invece le subirono. L’azione più
ignominiosa però, condotta con un rigore scientifico degno di ben altre cause
fu quella di far sì che,almeno per quello che riguardava il Sud,le popolazioni
meridionali perdessero non solo memoria del glorioso passato della loro terra
ma vivessero il resto della loro vita,e per tutte le generazioni a venire, con
appiccicato addosso un senso di inferiorità rispetto al resto dei connazionali
ed alla parte del mondo sensibile a queste false accuse. Quest’ obiettivo fu
possibile raggiungerlo con la connivenza di uomini di cultura che,o per
pusillanimità congenita o per timore di non
poter assicurare il pane quotidiano alla propria famiglia,hanno
mortificato la loro intelligenza mettendola al servizio della menzogna anziché
della verità. Se le affermazioni fin qui fatte possono apparire pretestuose e
prive di fondamento,allora vorrei che mi
venisse spiegato perché,questo Sud
straccione (*) cencioso, perennemente arretrato, affamato, costituito da una
razza inferiore (5), indebitato,un Sud da buttare costituisse il pensiero fisso
di Vittorio Emanuele e di Cavour.
Senza scomodare la psicologia,la psicanalisi o altre scienze del
comportamento non è difficile immaginare che le motivazioni di ordine economico
furono prevalenti su qualunque altro ideale.
E’ ovvio,infatti, che se desidero qualcosa,per avere la quale sono disposto a
commettere perfino le più ineffabili bassezze, questo qualcosa,in primis, non è
nelle mie disponibilità e poi deve avere un
valore intrinseco adeguato almeno ai sacrifici che sono disposto a fare
per averlo ad ogni costo. Altrimenti perché desiderarlo? Nella recente storia
degli imperialismi europei,tutte le nazioni che si sono mosse per assicurarsi
delle colonie nelle regioni più lontane del mondo lo hanno fatto in vista
della ricchezza di quelle terre,delle
loro piantagioni, delle loro miniere,dei loro giacimenti di petrolio. E proprio
con questo spirito,e non certo per andarli a liberare da un regime che non era
peggiore del loro,i fratelli nordisti si mossero
per fagocitare le terre del Sud.
(*) A proposito di “straccioni”,si veda la
lettera di Ippolito Nievo alla cugina alla Nota 11.
Quanto appena affermato non è da ritenere l’ennesimo tentativo messo in
atto da un nostalgico figlio del Sud che vuole
riabilitare ad ogni costo il proprio passato e restituire,quindi,dignità
ed onore a generazioni e terre ingiustamente offese. E’ noto a tutti che il
Piemonte (o Regno di Sardegna) era lo Stato meno florido dal punto di vista
economico ed il più indebitato di Europa,
consistendo il suo problema nel mancato rispetto della “ convertibilità
“ della propria moneta. Lo Stato sabaudo,infatti,aveva adottato un sistema
monetario basato sull’emissione di carta-moneta a cui non corrispondeva,però,un
equivalente controvalore in oro o argento nella sua Banca Nazionale. Sicché,la
valuta piemontese non era poco più,ma era
semplicemente carta straccia. Il sistema monetario delle Due Sicilie,invece,emetteva
solo monete d’oro o d’argento alle quali corrispondeva l’esatto controvalore in
metalli preziosi versato nelle casse del Banco delle Due Sicilie … quelle,per
intenderci,totalmente depredate dal liberatore
Giuseppe Garibaldi.
Per tutto questo esistono documenti che , purtroppo,gli storici,per
ragioni ancora inspiegabili all’ umana logica,continuano ad ignorare e che –
chiedendo la licenza di un esempio - vorrei invitare ad analizzare con la
massima serenità.
Se, per far quadrare il bilancio familiare, sono costretto a vendere gli
oggetti preziosi di famiglia,nessuno potrà dire che verso in una situazione
economica florida! E se nello stesso condominio in cui vivo io con la mia
famiglia un altro gruppo familiare riesce a vivere senza essere costretto a
privarsi dei propri beni,vuol dire che tra i due nuclei familiari
esistono,evidenti e palpabili,condizioni economiche differenti. Questo esempio
si può calare pari pari nella storia del periodo oggetto del nostro interesse. Da
documenti esistenti e verificabili da chiunque,risulta che al 30 giugno
1860,infatti,la situazione economica
dei vari Stati della Penisola era la seguente: Regno delle Due Sicilie:
445,2 milioni di lire-oro ;
Lombardia:8,1 ; Ducato di Modena:0,4 ; Parma e Piacenza:1,2 ;
Romagna,Marche,Umbria:55,3 ; Piemonte : 27,0 ; Toscana : 85,2. (in G. Savarese – La finanza napoletana e la
finanza piemontese. Dal 1848 al 1860,Ed. Controcorrente Napoli)
La ricchezza del Regno delle Due Sicilie,come si evince dalla sintetica
tabella su riportata,era di ben 16 volte e mezza superiore a quella del
Piemonte e cinquantacinque volte quella della tanto decantata Lombardia! E
questo spiega il perché del chiodo fisso di Vittorio Emanuele e di Cavour.
Inoltre,chi tra i due Stati,versava in condizioni economiche
precarie,non era certo il Regno di Napoli,ma quello del Piemonte.
Infatti,mancando di liquidità economica,il tanto osannato Piemonte alienò i seguenti beni demaniali:
(1) Tenuta di Torino,per 6.100.000 lire (legge 8 febbraio 1851) – (2)
Chieri,Gassino,Casella,per 2.278.422,32 lire (legge 11 luglio 1852) – (3)
Chivasso,Genova,Cuneo per 4.628.436,29 lire (legge 19 maggio 1853) – (4)
Stabilimento di San Pier d’Arena,per 800.000 lire (legge 9 giugno 1853). Di
contro il Regno di Napoli non ebbe bisogno di alienare alcun bene. (Alle
persone dotate di onestà intellettuale l’esame di tali dati).
Continuiamo ora a seguire il progressivo procedere della trama ordita
per la forzata unificazione dell’Italia,ideata e diretta da Cavour. Essa
continua con l’arruolamento di Virginia Oldoini Verasis(6) per sedurre
Napoleone III e facilitarne lo schieramento a fianco del Piemonte contro il
resto degli Stati della Penisola. Anche quest’altra mossa era stata studiata
già da tempo con un’intesa a quattro tra due zii di Virginia (il generale
Enrico Cigala e l’avvocato Ranieri Lamporecchi),Vittorio Emanuele II e Cavour. Proprio per questo suo ruolo non proprio
diplomatico,Urbano Rattazzi definì la Castiglione la vulva d’oro del Risorgimento Italiano e la stessa contessa ebbe
a dire che la vera bandiera dell’Italia non sarebbe dovuto essere il
tricolore,ma la vestaglia da notte con cui aveva sedotto Napoleone III.
Altra maglia della rete fu l’ incontro a
Plombières del 20 luglio 1858 tra
l’imperatore di Francia Napoleone III ed il conte Camillo Benso di Cavour.
Quest’incontro fu organizzato per escogitare i pretesti per spingere l’Austria
a dichiarare guerra,affinché il Piemonte,trovando la scusa per intervenire,
potesse impossessarsi del Lombardo – Veneto. Fu messo a punto,inoltre,un vero e
proprio complotto per fomentare,tramite l’invio in loco di
sobillatori all’uopo assoldati (e che costituiranno uno dei tanti capitoli
di uscite prive di pezze d’appoggio che non faranno quadrare i bilanci del nuovo
Stato), rivolte nei Ducati di Parma e Modena,nel Granducato di Toscana,nello
Stato Pontificio e nel Regno delle Due Sicilie.
L’accordo prevedeva tra l’altro il sacrificio della principessa Maria
Clotilde, data in sposa al cugino dell’ imperatore,Gerolamo Bonaparte e la
cessione alla Francia di Nizza e della
Savoia operazione , questa, condotta con un cinismo ed uno spregio dei valori
più elementari della correttezza di cui
proverebbe vergogna perfino una prostituta. Ed infatti,quando Garibaldi venne a
conoscenza della cosa,confidò al suo medico e amico Enrico Albanese: << La patria non si baratta,né si vende per Dio
! Quando i posteri esamineranno gli atti del governo e del Parlamento italiano
durante il risorgimento italiano,vi troveranno cose da cloaca.>>
A proposito di complotto riportiamo quanto
annotato dallo stesso Cavour nel suo Carteggio :
“ … Ci
mettemmo insieme (Cavour e Napoleone III ) ad esaminare tutti gli Stati d’Italia,per cercarvi questa causa di
guerra così difficile da trovare … Arrivammo quasi senza accorgercene a Massa e
Carrara e là scoprimmo quel che cercavamo con tanto ardore … Convenimmo di
provocare un indirizzo degli abitanti a V. M.(Vittorio Emanuele II) per chiedere la sua protezione nonché di reclamare
l’annessione di questi ducati alla Sardegna. V. M. non accetterebbe
l’offerta,ma,prendendo le parti di queste popolazioni oppresse,rivolgerebbe al
duca di Modena una nota altera e minacciosa” (in Denis Mack Smith – Il
Risorgimento Italiano – Laterza , Roma – Bari,1999,pag. 339). Questo
costituisce l’antefatto del grido di
dolore,al quale il buon re Vittorio Emanuele non sarebbe rimasto
insensibile. All’escamotage “ Non
siamo insensibili al grido di dolore” … ,suggerito dallo stesso Napoleone III,il
Cavour fece aggiungere la premessa “Dobbiamo
rispetto ai trattati”. Per cui il testo definitivo del copione che avrebbe
dovuto recitare Vittorio Emanuele divenne :
“ Dobbiamo rispetto ai trattati
,ma non possiamo rimanere insensibili al grido di dolore che ci viene da tante
parti dell’Italia”. E questo dà la misura del senso e del grado di
correttezza e di moralità dello “statista” piemontese.
Contemporaneamente Cavour,che -
come detto -era massone,come tantissimi altri,tra cui Napoleone III e Garibaldi,attivò
le massonerie di tutto il mondo per raccogliere fondi (4) da destinare alle camicie rosse per la liberazione dei popoli oppressi. Inoltre fece mettere a disposizione una
grossa somma di denaro in monete d’oro dal banchiere Costantino Garavaglia,operazione
resa nota dallo stesso banchiere in una sua lettera:” … il giorno dopo d’Azeglio mi mandò in rimborso tante sue (di Cavour
– n. d. r.) accettazioni di £ 50.000
cadauna pagabili presso il gabinetto del
ministro Cavour. Due o tre giorni
dopo si seppe della partenza di Garibaldi da Quarto. Mi parve di capire.”
Ancora:il 25 aprile 1860,sempre Cavour,fa acquistare dal diplomatico
piemontese Salvatore Pes di Villamarina un consistente numero di carte
geografiche della Sicilia ed una dozzina di copie della carta del Regno di
Napoli dello Zanoni da consegnare a Garibaldi in modo che questi non potesse
commettere errori che avrebbero potuto compromettere l’esito di un’ operazione
studiata così a lungo e per la quale,profondendo tanti sforzi,si era riusciti
ad ottenere la complicità sia della
Francia che dell’Inghilterra,eterne nemiche.
Arriviamo,così,al momento in cui viene messo in atto l’altro falso
storico del furto delle navi Piemonte
e Lombardo. I piroscafi erano stati
regolarmente acquistati per atto notar Bedigni di Torino su cui , però,non
figuravano né la firma del compratore (Garibaldi),né quella del sovrano,né
quella del ministro (Farini),ma quelle di compiacenti prestanome. Sul fatto, Garibaldi,per le future
generazioni di mitografi, lasciò altri due falsi storici da far passare come
verità: una lettera di scuse “ ai Signori
Direttori dei vapori nazionali per essersi impadronito dei due vapori” e
una al re per spiegargli che l’impresa
era stata intrapresa per “motivi puri
affatto da egoismo e interamente patriottici”. (G. Fasanella – A. Grippo
“1861” Sperling & Kupfer,2010).
Completata l’operazione del furto
dei piroscafi,si dà avvio alla partenza
per la Sicilia, anche questa meticolosamente preparata.
L’11 maggio 1860 le camicie rosse sbarcano a Marsala. Il Piemonte e il
Lombardo, dal porto di partenza fino a quello d’arrivo,come vere e proprie navi
corsare,non avevano issata alcuna bandiera di riconoscimento (no flags,come annotarono nei registri di
bordo i comandanti delle navi
inglesi). Ma,appena a Marsala, per farsi
riconoscere dalle navi amiche schierate a protezione dello sbarco,issarono Sardiniam streams o Sardiniam colours (come annotarono gli stessi comandanti nei loro
registri di bordo).
Ci si à mai chiesto perché
Garibaldi sbarcò proprio a Marsala e non in un altro porto della Sicilia? Perché Marsala era la zona della Sicilia ove
tutte le fabbriche dell’omonimo liquoroso vino (Hoops,Ingham,Whitaker,Woodhouse
) erano in mano agli inglesi e costituiva,quindi, una specie di zona franca che
godeva di una vera e propria condizione
di extraterritorialità. Per cui,sbarcare
a Marsala e non altrove,offriva una garanzia sulla riuscita dell’operazione.
Questo dovrebbe chiarire a chi si ostina ancora ad essere miope perché la mattina del 10 maggio,cioè il giorno prima dello sbarco,alle due cannoniere Argus e Intrepid,arrivò
dall’Anmmiragliato inglese l’ordine di dirigersi a Marsala ( “ Ship to Marsala “) , quando il giorno
ed il luogo dello sbarco non erano noti neppure alle persone imbarcate sul
Piemonte,come ebbe a scrivere lo stesso garibaldino Giuseppe Bandi nelle sue
Memorie: “ Non sapevamo quando avremmo
sbarcato,né dove” . Che questo corrisponda a verità è ricavabile anche dal
discorso pronunciato dallo stesso Garibaldi in occasione della sua visita in
Inghilterra nell’aprile del 1864 , quando affermò:” Napoli sarebbe ancora dei Borbone senza l’aiuto di Palmerston;senza la
flotta inglese io non avrei potuto passare giammai lo stretto di Messina”.
Ancora:dalla lettera di Cavour all’ammiraglio Persano del 3 agosto 1860
(in La liberazione del Mezzogiorno,vol.
II pag. 8), cioè con più di un mese di
anticipo sui fatti … e questa la dice lunga sul “complotto” ,<< Un movimento insurrezionale scoppierà in
Umbria e nelle Marche dal dì 8 al 12 settembre. Represso o non represso noi interverremo.
Il generale Cialdini (con 30.000 piemontesi contro 3.000 pontifici,n. d. r.) entrerà nelle Marche e si porterà
rapidamente avanti Ancona.>>
Se non è premeditazione questa !
Quante nefandezze si debbono ancora sottoporre alla pubblica attenzione
perché ci vengano restituiti la dignità,l’onore e l’orgoglio di cui siamo stati
rapinati? Lo stesso Garibaldi,senza il cui apporto,Cavour e la Casa Savoia
starebbero ancora sognando di impossessarsi delle nostre terre,ebbe a dire :
<< … gli oltraggi subiti dalle
popolazioni meridionali sono incommensurabili … non rifarei oggi la via
dell’Italia meridionale,temendo di essere preso a sassate,essendosi colà
cagionato solo squallore e suscitato solo odio.>>
Che dire,poi, dell’altro falso dei plebisciti
per le annessioni?
Non vogliamo sollevare polemiche inutili e pretestuose,parlando della
squallida figura e dell’ abominevole ruolo che nell’operazione ebbe un altro
grande personaggio – Don Liborio Romano - né la funzione di pubblica sicurezza affidata
incredibilmente alla camorra locale,come
era già avvenuto in Sicilia con l’arruolamento
dei picciotti .
Anche per quest’altra farsa ci limiteremo ad analizzare
solo documenti di “amici” in modo da fugare ogni dubbio sul criterio delle
ricerche.
In merito l’ammiraglio inglese ( alleato del Piemonte) sir George Rodney
Mundy annotò:<< … Il 21 ottobre
1860 ogni elettore doveva innanzi tutto mostrare il certificato rilasciatogli
dal Sindaco, comprovante il suo diritto a prendere parte alla votazione; poi
passando tra due fila (sic) di guardie nazionali,doveva salire alcuni
gradini,pervenendo così su una piattaforma dove erano collocate le urne. Quelle
poste a destra e a sinistra distavano parecchi piedi da quella centrale e
recavano dipinte in grandi caratteri le parole SI e NO. L’elettore doveva
quindi camminare verso una di esse,sotto gli sguardi di una dozzina di
scrutatori,immergervi il braccio ed estrarvi una scheda. Ciò significava
naturalmente votare pubblicamente,nel più chiaro senso della parola … Tuttavia
siccome i votanti dovevano consegnare i documenti d’identità,i loro nomi e
stati sociali erano ben noti … Un plebiscito a suffragio universale regolato da
tali formalità non può essere ritenuto veridica manifestazione dei reali
sentimenti di un paese>> ( G. R. Mundy – La fine delle Due Sicilie e
la marina britannica. Diario di un ammiraglio. 1859 – 1861 Berisio Napoli
1966).
<< … Appena 19 su 100
votanti sono rappresentati dalle votazioni in Sicilia e Napoli,ad onta di tutti
gli artifizi e violenze usate … Il voto è stata la farsa più ridicola che si
poteva immaginare e non c’era stata nemmeno la pretesa di limitarlo a quelle
persone che erano qualificate.>> (Henry Elliot,ambasciatore inglese.
In D. Mac Smith “Cavour contro Garibaldi”).
<< … Questi voti sono una
mera formalità dopo un’insurrezione,o una ben riuscita invasione;né implicano
in sé l’esercizio indipendente della volontà della nazione,nel cui nome si sono
dati.>> (John Russel,ministro degli Esteri inglese).
Un altro inglese,il deputato Patrick O’
Clary ebbe a notare:<< … Nel giorno
del plebiscito il voto fu influenzato in forma assolutamente tangibile. La
Guardia Nazionale con le baionette innestate presidiava le urne. Un uomo che
votò “NO” a Montecalvario fu ripagato
della sua baldanza con una pugnalata. Tutti i garibaldini,molti dei quali erano
del Nord Italia,furono autorizzati a votare con la qualifica di liberatori>>
(P. O’ Clary,op. cit.)
Ora,dopo di aver esaminato notizie provenienti unicamente
da fonti “amiche” o addirittura da carteggi
degli stessi protagonisti e dei
loro amici, molti dei quali complici ed alleati dell’ annessione forzata dei
vari Stati d’Italia al Regno di Sardegna, io
mi domando : “ Uno storico che per professione si nutre di documenti del genere
, come può continuare a mentire dopo che ha dinnanzi tante ammissioni di
colpa;, come può perseverare nel parlare dell’Unità d’Italia come di un moto spontaneo?
Se ciò rispondesse al vero,non ci sarebbe stato bisogno di un esercito,di un
lungo stato d’assedio ,di leggi marziali e di esecuzioni in massa,ma si sarebbe
assistito ad un abbraccio fraterno di quei cafoni
per i loro liberatori. Invece,proprio
perché non si era trattato di una richiesta di liberazione,ma di una invasione
(tra l’altro proditoria,come per altri Stati del Nord),erano stati mandati giù quei
sobillatori proprio perché agli occhi delle altre nazioni l’invasione piemontese (che già anni prima si
era deciso che passasse alla storia come il soccorso offerto da un re che non
poteva rimanere insensibile a quelle grida di dolore) apparisse come un’azione
resasi necessaria per scongiurare che il malcontento serpeggiante nei vari
Stati, che aveva tutte le caratteristiche di una rivoluzione,potesse sconfinare
e turbare la tranquillità della penisola intera.
In virtù di un tale comportamento e grazie
all’enorme quantità di bugie,falsi e calunnie messi in atto con rigore
scientifico,anch’io, come miei tanti conterranei, sono vissuto per molti anni in uno stato di
ignoranza. Tanto lo debbo all’ opera di
coloro che,nonostante avessero scelto come professione quella di docente,forti
del potere e del prestigio loro derivante dal ruolo e dalla posizione
raggiunta, ci hanno imbottiti di menzogne,che,per ordini superiori,ci
hanno spacciati per verità vera. Ignoro
quanti tra questi – se pure ce ne sono stati - avranno sofferto,sapendo che con
la loro acquiescenza stavano mortificando la propria intelligenza, prostituendo
la propria indipendenza intellettuale nel raccontare storielle ,solo per non perdere la sicurezza di garantire il pane
alle loro famiglie. E’ probabile che alcuni, ingannati a loro volta dai propri
insegnanti, non fossero pienamente coscienti di quanto stavano facendo,come ho
potuto constatare – a seguito della costante ricerca che porto avanti su questo
momento della nostra storia - dalla coraggiosa confessione del professor Nicola
Bruni, docente in pensione.
(7)
A tutti coloro che si sono trovati nella
condizione del professor Bruni e che hanno
avuto il coraggio di affermare di essere stati formatori di una falsa coscienza
storica conferirei una medaglia al valore. Ma,nell’impossibilità di farlo, sono disposto a concedere loro il perdono
senza condizione. Gli
impenitenti,invece,che avevano piena coscienza di quanto stavano perpetrando e
che non hanno provato rimorso per il crimine commesso, non posso evitare
di ritenerli intellettualmente dei
disonesti, la scienza e la coscienza rappresentando per essi pesanti aggravanti. Grazie a questo tipo di
insegnamento ( e prima che un’esigenza di revisionismo cominciasse a gettare un
po’ di luce in fatti e avvenimenti cui la logica e la razionalità non
riuscivano a trovare una spiegazione),alcune generazioni di cittadini sono
cresciute in un colpevole e finalizzato stato di ignoranza,a dispetto della
fama che godevano gli istituti superiori da cui provenivano. Grande
delusione,quando,una volta all’ università, con sorpresa mista a
sgomento,costoro avevano avuto modo di
scoprire di essere stati plagiati da quei docenti verso i quali,per
tutti gli anni delle superiori,avevano nutrito una specie di venerazione e
delle cui parole non avevano motivo di dubitare. Molti di costoro ,infatti, sono vissuti per
molti anni con appiccicato addosso un
senso di vergogna , che,senza colpa alcuna,li faceva sentire - grazie anche al
contributo della scuola positivista di Lombroso e Niceforo (5) - come appartenenti ad una razza inferiore nei
confronti di connazionali con i quali, invece,si sarebbe potuto instaurare
veramente un rapporto di uguaglianza e di fratellanza che andasse oltre quello
retorico e scarsamente sentito di inni e
marce varie. Invece , proprio perché
[come ormai emerge da documenti volutamente ignorati fino ad ora (8)] la
cosiddetta unificazione non è stato quel
fenomeno spontaneo tramandato dalla
storiografia e sia perché alla sua base non c’è stato alcun atto d’amore,le popolazioni italiche non sono
riuscite a sentire alcun desiderio di fratellanza né ad amalgamarsi,e –
reciprocamente stranieri gli uni agli altri - siamo rimasti ancora
siciliani,napoletani, milanesi, torinesi,ecc. Almeno per quello che riguarda
una consistente parte della popolazione del Nord, ogni occasione è buona per
rimarcare la differenza fra le due “ razze
“.(5) La parte spiacevole della cosa
è rappresentata dal fatto che molto spesso non ci si limita solo a rimarcare
questa differenza ,ma non ci si sforza minimamente neppure di mascherare il
palpabile sentimento di disprezzo e di avversione di una parte della popolazione nei confronti
dell’altra, come se – per contrappasso -
ogni cittadino del Meridione avesse sulla coscienza la tortura e l’uccisione
degli avi o dei parenti più prossimi dei connazionali nordisti. Da quanto risulta
finora,nessun generale borbonico ha meritato dai propri sottoposti l’
appellativo di Macellaio o di Requiescant come i due pluridecorati
generali piemontesi. (10)
Proprio per dare una testimonianza del viscerale sentimento di disprezzo
che una parte della nazione nutre e nutriva verso l’ altra,riporto alcune frasi
tratte dal libro del savoiardo Carlo
Margolfo, “ Mi toccò in sorte il numero
15.Episodi della vita militare del bersagliere Margolfo Carlo “diario
emerso accidentalmente dopo centoquattordici anni dai fatti (forse per una provvidenziale
e beffarda nemesi storica). Da tali
memorie è facile rilevare con quali intenzioni i sedicenti liberatori arrivassero nelle
terre invase e con quanta insensibilità assistessero allo spettacolo di corpi
che bruciavano come pezzi di legno e si accartocciavano come foglie,durante la spedizione punitiva di Pontelandolfo e
Casalduni :<<… Entrammo nel
paese;subito abbiamo cominciato a fucilare preti e uomini,quanti capitava,indi
il soldato saccheggiava,e infine abbiamo dato l’incendio al paese … Quale desolazione! Non si poteva stare
d’intorno per il gran calore. E quale rumore facevano quei poveri diavoli che
per sorte avevano da morire abbrustoliti sotto le rovine delle case.
Noi,invece,durante l’ incendio, avevamo di tutto:pollastri, vino , formaggio e
pane>> ( Provviste che
ovviamente non si erano portate da casa,ma che avevano requisite alle persone
che si stavano apprestando a dare alle fiamme,come fascine,dopo di averle ben
rinchiuse all’interno delle loro misere abitazioni ! ) Meno male che,a loro dire,i barbari eravamo
noi!
Il modo di intendere la parola liberazione
da parte del Piemonte,fu oggetto di discussione che non lasciò indifferente
nessuna corte d’Europa,anche di quelle che ne avevano appoggiato le mire
espansionistiche. A Londra il deputato McGuire disse senza mezzi termini :
<< … Non vi può essere storia più
iniqua di quella dei piemontesi nell’occupazione dell’Italia Meridionale … In
luogo di pace,di prosperità,di contento generale che si erano promessi e
proclamati come conseguenza certa dell’unità italiana,non si ha altro di
effettivo che la stampa imbavagliata,le prigioni ripiene,le nazionalità
schiacciate ed una sognata unione che in realtà è uno scherno,una
burla,un’impostura>>.
Per quello che mi riguarda,nonostante la presunta superiorità di una
parte della nazione,io sono andato sempre fiero di Napoli,la città che mi ha
dato i natali,anche quando il suo nome veniva e viene associato a stereotipi
affatto esemplari. E ciò non per superbia di carattere o di intelletto,ma
semplicemente perché convinto – come recitano due proverbi delle nostre parti –
che ”Le dita della mano non sono tutte
uguali” e “ Chi è buono si salva da
sé ”. La stessa fierezza,che mi porta
a prediligere - ogni volta che posso - il dialetto alla lingua,mi accompagna
anche oggi,epoca in cui la città del “ Vedi Napoli e poi muori “ o di quella
immortalata nella canzone “ ‘E dduje Paravis “ ha conseguito,suo malgrado,un
nuovo e più triste primato :quello della “munnezza”,i cui miasmi, sostituitisi
alle fresche brezze marine ricche di iodio,ne hanno ammorbato l’aria e
deturpato irrimediabilmente l’immagine,tanto che,per il resto del mondo, quello
napoletano viene considerato come un popolo capace di produrre solo immondizia
ed illegalità. Fortuna che le varie inchieste della magistratura o le notizie
fornite dai mass media hanno potuto accertare che criminalità ed illegalità non
conoscono frontiere e che, se può esserci un filo che accomuni il “laborioso”
ed “onesto” Nord allo “sfaticato” e “ladrone” Sud questo è rappresentato proprio dall’illegalità e
dalla criminalità, esercizi in cui gli “onesti” nordisti non temono confronti [
Sindona (1974),ENI PETROMIN(1980),Banco Ambrosiano (1982), Ferruzzi Montedison
(1993),Cirio (2003), Parmalat (2004),Monte dei Paschi di Siena (2013),ecc.]. Ma,per tornare al punto di partenza,
mentre dappertutto i rifiuti si sono trasformati in fonte di energia
alternativa e di ricchezza,nella Campania,una volta “felix”, l’insaziabile
voracità di persone indegne di far parte del consorzio umano ha tramutato
quest’oro in motivo di vergogna,di dolore e di morte.
Allora,assodato che la storia insegnatami a scuola era totalmente falsa
e addomesticata,ho avvertito la necessità di verificare se l’andar fiero della
mia “napoletanità” avesse un fondamento. Per questo motivo ho intrapreso un
viaggio a ritroso,alla ricerca di elementi o documenti possibilmente equidistanti da posizioni estremiste,che
potessero,senza pericolo di smentita, testimoniare se, oltre quello della
“munnezza”, Napoli avesse mai avuto occasione di vantare nella sua storia anche momenti di maggior gloria e dignità.
Così,dai giorni presenti,attraverso la fase dell’ unificazione, sono giunto dal
secolo XIX al secolo XVIII , periodo che ha visto il Meridione d’Italia sotto il regno della dinastia
borbonica.
Il viaggio sarebbe potuto andare anche più indietro nel tempo,fino alla
colonizzazione dei cumani ed anche oltre ,ma non ho voluto scomodare né la
storia né la mitologia per provare l’ antichità e la nobiltà della mia terra.
Però un minimo di passato è necessario rispolverarlo,poiché , constando
l’intera parabola esistenziale di tre
momenti:passato, presente e futuro,si dimostra di fondamentale importanza per
ogni popolo conoscere il proprio passato (quindi le proprie origini,le proprie
radici) per avere una precisa conoscenza del presente e sperare di costruirsi
un futuro. Nessuno dei tre momenti esistenziali,infatti,può esistere ed avere
significato senza rapportarsi con gli altri.
Così,per conoscere il passato della mia umiliata e vilipesa terra,e
capire il presente in cui essa è immersa,inizio il mio viaggio a ritroso
e, prima di por mano a testi o atlanti
storici che possono contenere informazioni poco obiettive,mi accingo a verificare
quale sia l’accezione che la lessicologia corrente registra relativamente al
termine “borbonico”.
Mi servo,come punto di partenza,di fonti che,per loro natura,dovrebbero
presumibilmente essere asettiche:il Dizionario Garzanti della Lingua Italiana
ed il Vocabolario Illustrato della Lingua Italiana di Devoto – Oli.
Alla voce “borbonico” il
Garzanti riporta:
agg. :” dei Borboni (sic);relativo ai
Borboni (sic) – Fig.: retrogrado “.
A proposito di “retrogrado” la stessa fonte riporta: ” che cammina,che va all’indietro – Fig. :
contrario al progresso e desideroso di
tornare ai sistemi del passato” .
Il Devoto – Oli,relativamente alla voce “borbonico”,riporta :
agg.:” proprio dei Borboni (sic) di
Napoli,o seguace e sostenitore del loro governo:quindi,anche come sostantivo : retrogrado,reazionario”.
Chiarito il significato che la prima fonte registra a proposito di “retrogrado” ,vediamo cosa riporta la
seconda a proposito di “reazionario”.
agg.:” appellativo polemico di
tono spregevole che si dà a persona o atteggiamento auspicante la
ricostituzione,anche con metodi violenti,di un assetto sociale e politico
storicamente superato”.
Se le fonti consultate sono intellettualmente oneste e se la
storiografia non è stata ingiusta nei suoi confronti, quella dei Borbone di
Napoli è stata davvero una dinastia che si è ben meritata la nomea che gli
storiografi le hanno cucito addosso. Se,invece,il ricordo tramandato è frutto
di mistificazione , per la dinastia investita da tale calunnia è molto
difficile sia tentare una difesa che una riabilitazione,giacché il fatto stesso
di trovarsi sotto accusa rappresenta
obiettivamente una condizione di svantaggio.
Le pagine del tempo e della storia,infatti, assimilabili a quelle di un
diario personale,non possono che riportare quanto vi viene trascritto. Così,se
motivi di natura economica,politica o di altro genere suggeriscono di
modificare o alterare la verità , diventa molto difficile dimostrare che certe
affermazioni sono inesatte dal punto di vista storico e scorrette da quello
etico. Ma si sa che la politica e la diplomazia,che si ispirano al più estremo machiavellismo, sono luoghi in cui la moralità non ha diritto
di asilo,per cui,in nome del fine da raggiungere,si può arrivare perfino a
falsificare fatti o a distruggere
documenti ,per non correre il rischio di
essere smentiti o tacciati di mendacio da studi o approfondimenti futuri. E
così anche un santo rischia di essere consegnato ai posteri come un demonio se
chi ha interesse a che ciò avvenga si mette di impegno, distruggendo prove a
favore e demolendo la figura vera
per costruirne un’altra del tutto falsa.
Per quanto riguarda il nostro oggetto,è accertato ormai che una delle cause
all’origine della fama che in campo internazionale ha circondato in maniera negativa i Borbone
di Napoli è rappresentata dal contenuto della già citata e famigerata
lettera che lord Gladstone – su
richiesta del Palmerstone - inviò a lord
Aberdeen il 17 luglio 1851 sul
sistema carcerario e giudiziario del Regno duosiciliano . (3) Stranamente,già
dal 1902,però,a pochi anni dai fatti di cui ci stiamo occupando, da uno storico
inglese (Bolton King) sappiamo che nessuno Stato in Italia poteva vantare
istituzioni così progredite come quelle del Regno di Napoli ove,tra l’
altro era in vigore un regime penitenziario fra i meno disumani di Europa, che
prevedeva con molto anticipo rispetto a molti altri Stati una riforma che
tenesse conto sia dei bisogni dei detenuti che di rieducarli per consentir loro
di iniziare una nuova vita una volta pagato il debito con la giustizia.( Si
consultino, a tale riguardo, le circolari e i decreti regi contenuti nei Codici
della grandissima scuola di giurisprudenza napoletana e siciliana e si consulti
pure,per par condicio,il modo in cui
venivano rieducati i prigionieri nel
carcere di Fenestrelle del civilissimo
Regno Sabaudo,di cui – come per le foibe – nessuno storico si è mai preoccupato di darne notizia). Tra l’altro,dopo l’ annessione piemontese,lo
stesso Gladstone,tornato a Napoli tra il 1888 ed il 1889,confessò ai liberali
napoletani di non essere mai stato in un carcere napoletano e di aver
scritto la lettera per incarico di Lord Palmerston.
Ora mi domando : << I cosiddetti esuli,costituiti da cospiratori di ogni sorta,che avevano tramato
ai danni della dinastia borbonica,una volta scoperti e mandati al confino
potevano mai fornire notizie oggettivamente veritiere intorno ad un regime contro cui avevano tanto tramato e
che si erano adoperati ad abbattere in ogni modo?>>. Questo è il primo
dubbio che dovrebbe affacciarsi alla mente di chiunque,non prevenuto,si accinga a prendere in considerazione
questo particolare momento storico.
Tra le altre cause che possono
aver contribuito a costruire e consegnare ai posteri un’ immagine distorta dei
Borbone hanno giocato un ruolo importante :
-
gli interessi commerciali che l’Inghilterra (per contrastare
l’espansione del suo nemico capitale:la Francia) aveva in certa parte del
Mediterraneo (Gibilterra e Malta),che di lì a poco l’avrebbero spinta a mettere
in moto le varie massonerie sparse per il mondo per eliminare definitivamente i
Borbone dall’ Italia Meridionale e sostituirli con la Casa Savoia
- ed il tentativo messo in atto da
Ferdinando II già nel 1840 di liberalizzare il mercato degli zolfi (il petrolio
dell’ epoca) negando all’Inghilterra il rinnovo della concessione del loro monopolio
in Sicilia: ciò che aveva offeso l’orgoglio di razza degli inglesi.
A proposito dell’appunto che il Gladstone faceva sul sistema carcerario
nel Regno di Napoli, il principe Schwarzenbach si domandava come mai due galantuomini inglesi,come Gladstone e Palmerston , tanto
lungimiranti e tanto severi nel giudicare su semplici “ si dice “ quanto
avveniva nel Regno di Napoli,si mostrassero così miopi da non accorgersi di
quanto accadeva proprio in casa loro,cioè in Irlanda,ove la forca funzionava a
pieno regime già prima della famosa lettera del Gladstone. E la cosa era
risaputa in tutta Europa!
Considerando che,ove più ove meno,il modo di governare era il medesimo e
che nessuna dinastia può considerarsi esente da critiche,perché alcuni modi di
amministrare il potere non destavano scalpore e non facevano notizia,mentre
altri sono stati bollati con i più infamanti epiteti? Da qui il desiderio
(anche se solamente platonico) di tentare di restituire dignità ed onore ad una
dinastia probabilmente diffamata per questioni meramente utilitaristiche,per
cui gli interrogativi e i dubbi sull’eventuale calunnia,anche se
ragionevoli,necessitano del conforto di informazioni storicamente valide ed
inconfutabili.
Vorrei precisare che non ho ricevuto da alcuno l’incarico di avvocato
difensore dei Borbone,sia perché non fornito dei necessari titoli sia perché carente di sufficiente competenza
storica. La voglia di restituire onorabilità e reputazione alla Casa regnante
spodestata dai piemontesi non ha un fine
immediato ed utilitaristico ma scaturisce dal desiderio di restituire,
attraverso una sua riabilitazione, dignità ai miei avi (ingiustamente tacciati
di essere una razza inferiore ed un popolo di briganti) e,trasmissibilmente per
via di sangue,a me stesso,ai miei figli ed ai miei nipoti.
Se la menzione relativa all’interrogativo postosi dal principe
Schwarzenbach può dare l’impressione di una scelta
non casuale tra le tante possibili, riporto quanto sulla stessa questione dell’
applicazione della giustizia in Inghilterra nello stesso periodo scrissero uno
storico francese (P. E. Durand Forges –
Originali e belli spiriti dell’ Inghilterra contemporanea. Biografie di
‘O Connell e di ‘O Connor) ed uno
inglese (G. M. Trevelyan - Storia dell’
Inghilterra nel secolo XIX).
Per il Durand Forges le esecuzioni dei “ colpevoli “ avvenivano in base
alle delazioni di spie prezzolate dalla polizia;per il Trevelyan la protesta
portata avanti dai contadini per non pagare la decima ad un ministro di culto
di una religione per loro eretica condusse “
alla proclamazione di stati d’assedio
ed allo stanziamento in Irlanda,per mantenervi l’ordine,di un esercito più
forte di quello che presidiava l’India “. Questo per dimostrare da che
pulpito venne intonato il De profundis per la dinastia napoletana
e per scrivere una volta per tutte nei libri di storia che la lettera del
Gladstone è un falso,di cui l’autore è reo
confesso,così come falsi sono “il grido di dolore”,il “furto” delle due
navi,i plebisciti,ecc. E,sempre a proposito dei personaggi di specchiata moralità che fecero della
loro vita una missione per eliminare dalla scena politica un’antica casa
regnante, vediamo la moralità del più grande artefice della scomparsa dei
Borbone dal Regno delle Due Sicilie:il conte Camillo Benso di Cavour. Tanto per
cominciare,nonostante fosse piemontese,il conte ,nei propri Diari,a proposito
della relazione tra il suo re ed una popolana di nome Rosina, (9) aveva
definito il dialetto piemontese il più
orribile gergo che esista nella Cristianità. Inoltre,durante il colera del
1853 in Piemonte,incurante delle estreme condizioni di bisogno del popolo,il
grande statista – azionista della
Società dei Molini di Collegno - aveva
accumulato più di quindicimila sacchi di grano ed altrettanti di farina nel
Teatro Nazionale, fregandosene della gente che per la fame cadeva a terra come
mosche così come se ne fregò dei
bersaglieri che mandò a morire in Crimea,per consentire al Piemonte di sedere nel concerto delle potenze europee. Per quanto riguarda,poi,la regia
dell’ unificazione italiana in campo internazionale anche qui il conte mostrò
di non conoscere affatto né l’esistenza né il significato di parole come
correttezza e integrità morale. Basti pensare che mentre si adoperava in tutti
i modi per ottenere l’appoggio della Francia,senza il cui esercito,non avrebbe
potuto imbarcarsi nell’avventura della conquista
dell’Italia,il conte di Cavour aveva appoggiato e finanziato l’attentato di
Felice Orsini contro Napoleone,tant’è che,quando l’Orsini fu condannato,alla
sua vedova fu assegnata una pensione.
Ancora.
- Quando Nizza e la Savoia erano già state cedute alla Francia,il Cavour
continuò ad ingannare quelli che ormai,a loro insaputa,erano divenuti stranieri
nella loro patria,facendo svolgere regolarmente
le operazioni per i referendum.
- Per quanto riguardava i Borbone,mentre si accingeva ad eliminarli
dalla scena politica come Casa regnante,continuava a rassicurarli che li
avrebbe protetti dai rivoluzionari radicali.
– Ai patrioti fece credere che la
loro lotta fosse per l’indipendenza dall’oppressione e dallo straniero.
- Ai Francesi garantiva che il Piemonte parteggiava per Napoleone III.
- Agli Inglesi – che erano anglicani – fece intendere che l’alleanza aveva tra i suoi obiettivi
anche quello di distruggere il potere
temporale del papa.
- Agli Austriaci diede ad intendere (nettamente smentito dai precedenti
accordi di Plombières) che il Piemonte non avesse alcuna mira sul Veneto.
-
Infine a Garibaldi(che aveva tentato di fermare a più riprese) fece
arrivare la garanzia che stava dalla
parte dei rivoluzionari.
Come premio per la liberazione,le popolazioni del Sud,oltre
alla immediata disoccupazione, all’ esponenziale fenomeno dell’ emigrazione,alla
leva obbligatoria e ad un impoverimento senza precedenti,allo smembramento del
Banco delle Due Sicilie (la cui liquidità andò a confluire nelle casse della
Banca Nazionale dello Stato Sardo),l’abolizione della libertà di stampa (con la
soppressione di tutte le testate) ebbero in regalo anche il nuovo sistema
contributivo introdotto con la proclamazione del Regno d’Italia:
- Tassa del decimo di guerra e Tassa del
registro graduale (1861)
- Tassa sull’industria (1862)
- Imposta sui redditi di ricchezza mobile
e Fondiaria (1864)
…
Tutto questo ed altro per una liberazione
non richiesta!
A
conclusione di quanto fin qui detto,salta lampante il grande debito che la
Storia ha nei confronti dell’ ingiustamente vilipesa Casa Borbone e di tutto il
Sud e
riporto con piacere il sereno e pacatissimo giudizio del deputato
inglese Patrick Keyes O’ Clery , che,in considerazione della nazionalità,
dovrebbe propendere più per la linea
conservatrice imposta finora che per quella revisionista:
«Amanti della Verità qual siamo, non
abbiamo altro obiettivo che dissipare la nuvola di pregiudizio e di inganno che
ha, fin qui, oscurato la narrazione di quegli eventi agli occhi di molti che ne
condannerebbero come noi gli autori, se conoscessero il vero carattere della
rivoluzione che ha creato la cosiddetta unità d’Italia. Noi la giudicheremo non
dalle invettive dei suoi nemici, ma dalle confessioni degli amici, molti di
loro complici ed alleati dell’ arcicospiratore Cavour. Una cosa
chiediamo che ci sia riconosciuta: il principio da cui siamo partiti e cioè che
la falsità non diventa verità perché asserita da uno statista o da un re, e che
il furto non cessa di essere disonesto e disonorevole quando il bottino è un
intero Regno». [
Patrick Keyes O’ Clery, in “La rivoluzione italiana. Così fu fatta l’unità
della nazione”, trad. it. Ares, Milano, 2000].
A proposito dell’amore per la verità,voglio riportare
solo qualche altro esempio sul grado di civiltà
che differenziava all’epoca il Nord ed il Sud dell’ Italia. Non starò qui ad
enumerare i vari primati di cui la
dinastia borbonica costellò il proprio regno (chi fosse interessato può
trovarli facilmente) , primati che avranno pure un loro significato e che
dovranno pur essere presi in considerazione,non fosse altro che per le
occasioni di lavoro che generavano . Ci dovrà pur essere una spiegazione sul
perché l’accentuarsi della miseria,della disoccupazione e del massiccio
fenomeno dell’emigrazione siano iniziati da subito dopo l’unificazione. (12)
A conforto dell’altra menzogna relativa
alle condizioni di miseria e di vita subumana del popolo del Meridione, diffusa
per umiliare la terra che ha permesso il decollo del Settentrione,riporto
quanto sull’argomento scrisse il conte Alessandro Bianco di Saint –
Joroz,capitano del Corpo di Stato Maggiore Generale nel suo libro “ Il brigantaggio alla frontiera papalina dal
1860 al 1863 “. Vorrei ricordare per chi non lo sapesse che la cronaca del
Saint – Joroz è una cronaca di
parte,ma di parte sabauda,per cui le notizie riportate hanno un valore
immenso per il tentativo di
riabilitazione che intendiamo portare avanti. Scrive,dunque,il Saint –
Joroz,dopo di aver verificato di persona che le informazioni che gli avevano
fornite sul Sud e sulle sue popolazioni erano palesemente false,che,prima
dell’invasione piemontese,il popolo meridionale << … nel 1859 (era) vestito,calzato,industre,con
riserve economiche. Il contadino possedeva una moneta. Egli comprava e vendeva
animali;corrispondeva esattamente gli affitti;con poco alimentava la
famiglia;tutti,in propria condizione,vivevano contenti del proprio stato
materiale. Adesso è l’opposto>>.
Da tutti i documenti esistenti (rapporti
diplomatici,relazioni finanziarie,studi economici,diari di viaggio,ecc.)
risulta in maniera lampante la maggiore importanza del Sud rispetto al Nord.
Qualcuno mi spiegasse,sennò,perché Napoli fosse la città che,in Europa,veniva subito
dopo Parigi e Londra e perché,alla Mostra di Parigi del 1856,il terzo posto mondiale
come Paese più industrializzato fu assegnato a Napoli e non a Torino,Milano o
Genova. Questa è storia!
Se
si vuole continuare con gli stereotipi e con i luoghi comuni sostenendo che a
Napoli,nello stesso periodo,c’erano pure condizioni di miseria,non ci
dimentichiamo che la Parigi dell’esposizione mondiale era quella descritta ne I Miserabili e Londra quella di David Copperfield e di Oliwer Twist. I modelli di vita e le
condizioni sociali dell’epoca erano più o meno gli stessi dappertutto. Solo che
quelli del Meridione debbono far testo ad ogni costo!
Anche da un’altra testimonianza non
sospetta,quella dell’autore di Moby Dick, si rileva che Melville confessò candidamente
di non riuscire a trovare alcuna differenza tra Napoli e Broadway.
Significa
qualcosa quest’altra testimonianza?
Dall’analisi dei dati relativi al fenomeno
dell’emigrazione emergono due realtà:
(1) Se le popolazioni del Nord erano costrette
ad emigrare percentualmente sette volte in più di quelle del Sud,la cosa va
letta nell’unico modo possibile e,cioè,che le condizioni di vita non erano
certamente quelle decantate e sbandierate con tanta insistenza!
(2) Se nello stesso periodo le popolazioni del
Sud erano interessate al fenomeno per appena il 13% e questa percentuale –
subito dopo l’annessione – si impennò fino a raggiungere il 40,1%,vorrei che
qualche storico o qualche economista me ne spiegasse i motivi.
Ma ci è stato sempre detto e ci viene
costantemente ripetuto che il Nord dell’Italia e,nella fattispecie,il
“nobilissimo” e “civilissimo” Piemonte fossero molto più avanti del”
retrogrado” Regno delle Due Sicilie. Qualcuno di questi assertori,allora,vorrei
che mi chiarisse perché, inventariando i
beni saccheggiati dalla reggia di Caserta, non si trovò neanche il termine
adatto (tanto l’oggetto era sconosciuto!) per catalogare il “bidet” e si
ricorse alla definizione di “oggetto
sconosciuto a forma di chitarra”.
Ci sembra,a questo punto, di aver fornito
prove sufficienti per stabilire che,veramente,fra le due parti del Paese esistevano delle differenze,che,però,vanno
lette a favore della parte fin qui calunniata e vilipesa. Le prove, come dimostrato
(non ultimo il caso dell’oggetto a forma
di chitarra),sono state fornite dagli stessi artefici di questo periodo
storico,per cui ci sembra di non poter essere accusati di aver attinto a fonti
interessate e,quindi,di dubbio valore dal punto di vista della verità storica.
Se tali prove possono sembrare degli stereotipi,penso che alla stessa stregua
debbano essere considerate anche le insistenze dell’altra parte nel rimarcare
le diversità fra Nord e Sud,a scapito
di quest’ultimo. Ancora oggi, infatti,quando il Sud non riesce a scrollarsi di
dosso la nomea di “zavorra” del Nord,si continua ad assistere ad una fedele
recita del copione imposto e recitato pappagallescamente da più di un secolo e
mezzo. Intanto,attraverso le rimesse delle persone costrette ad emigrare – cioè
con i capitali rastrellati al Sud – sono state finanziate le imprese del
Nord,ed il Sud,che già fu costretto a pagare – con la tassa di guerra –
l’acquisto dei cannoni rigati che determinarono la sua scomparsa dalla scena
internazionale,continua a pagare ! Ma,chissà perché,vigente tuttora l’omertoso
silenzio generale che fu all’origine della Questione Meridionale,questo Sud
continua ad essere considerato ancora la parte malata della Nazione.
Forse una voce autorevole,veramente al di
sopra delle parti come potrebbe essere quella del Presidente della Repubblica
che,per costituzione,deve essere il garante
della dignità di tutti,potrebbe mettere fine al protrarsi a tempo
indeterminato di questa incresciosa situazione che sembra non prevedere
possibilità di soluzione. Non dimentichiamo che,se questa Italia, così com’è, è
stata fatta,e se le forze politiche,
anche se solo per opportunismo , sono convinte della necessità e della
bontà del processo di unificazione , tutti i morti hanno diritto a ricevere
pari rispetto , specialmente quelli disciolti nella calce viva nel lager di
Fenestrelle, di cui non è rimasta traccia e
che, quindi,sono stati privati perfino del conforto di una lacrima
amica. L’unità della nazione è stata fatta anche col loro sangue e con quello
di tutte le Marie,le Rose,le Concettine finite a colpi di baionetta dopo di
essere state violentate dinnanzi agli occhi dei propri cari ! (13) – (14)
In attesa che una qualunque figura o voce,con la propria onestà morale
ed intellettuale e con la propria autorevolezza derivantele proprio dalle due
qualità precedenti riesca a mettere la parola “fine” a questa questione
infinita,noi continuiamo a sostenere che,quando i veli del silenzio e della
menzogna hanno cominciato a sollevarsi,
quando è dimostrato dai fatti che gli italiani sono ancora da fare e quando i
miasmi di quelle cose da cloaca impediscono perfino di respirare, non si
può più sostenere di non sapere,né si può continuare a dare la colpa agli
altri.
Perseverare
nell’ignoranza non è più ammesso. Ma insistere nella menzogna è un crimine!
NOTE
(1) P. K. O’Clary – La rivoluzione
italiana. Come fu fatta l’unità della nazione (Ed. Ares Milano,2000)
(2) Per le manipolazioni delle
informazioni e delle notizie da trasmettere dopo le opportune censure,nonché
per i privilegi concessi da Cavour alla prima agenzia di stampa della Penisola
cfr. Gigi Di Fiore – Controstoria dell’unità d’Italia,BUR Saggi 2010,pag. 62 e
seg.
(3) Nella lettera,senza aver mai
visitato una prigione borbonica né aver mai parlato con un detenuto,il galantuomo ,basandosi solo su fumosi e
non provati “si dice”,scriveva :<< … Il governo borbonico rappresenta
l’incessante,deliberata violazione di ogni diritto:l’assoluta persecuzione
delle virtù congiunta alla intelligenza,fatta in guisa da colpire intere classi
di cittadini,la perfetta prostituzione della magistratura,come udii spessissime
volte ripetere:la negazione di Dio,la sovversione d’ogni idea morale e sociale
eretta a sistema di governo.>>
Per ulteriori informazioni circa l’inciucio della famigerata lettera,vedere
quanto riferito da D. Razzano, F. Mastriani,L. Settembrini,G. De Sivo.S. Di
Giacomo,N. Nisco,ed altri riportati in C. Alianello – La conquista del Sud
Rusconi Editore.
(4) La somma raccolta dai fratelli massoni d’
America,Inghilterra e Scozia ammontava ad un milione di piastre turche,la
moneta più comune nei porti del Mediterraneo:un tesoro equivalente a circa 15
milioni di euro attuali. Inoltre,proveniente dall’America col preciso incarico
di consegnare la somma di altre due raccolte,giunse in Italia il fratello
massone Andrea Sgarallino,livornese,portando 3916,50 dollari per le povere famiglie dell’esercito italiano e
1113,25 dollari per l’acquisto di fucili.
(5) Teoria sostenuta
dalla Scuola positivista,secondo cui esistevano delle prove scientifiche atte a dimostrare che le popolazioni del
Meridione d’Italia erano geneticamente predisposte all’inferiorità ed alla
delinquenza. I più convinti sostenitori di tale teoria furono il criminologo –
psichiatra – antropologo Cesare Lombroso (Verona 6 novembre 1835 – Torino 19
ottobre 1909) e il criminologo Alfredo Niceforo (Castigliole di Sicilia 25
gennaio 1876 – Roma 10 marzo 1960),di scuola lombrosiana,che,con l’affermazione
della razza maledetta, contribuì
notevolmente al diffondersi del razzismo scientifico in Italia.
(6) Virginia
Elisabetta Carlotta Antonietta Teresa Maria Oldoini (Firenze 23 marzo 1837 –
Parigi 28 novembre 1899) ,figlia del marchese Filippo, divenuta contessa a
seguito del matrimonio con Francesco Verasis Asinari,conte di Costigliole d’Asti
e Castiglione Tinella. Poco prima del matrimonio aveva perduto la verginità con
lo spezzino Ambrogio Doria,incidente che costrinse i genitori a correre
prontamente ai ripari col matrimonio col Verasis. Oltre ad essere stata
l’amante di Napoleone III,lo fu anche del re Vittorio Emanuele II e
probabilmente di Costantino Nigra (liberamente da Wikipedia)
(7) <<Chiedo perdono a quegli ex alunni
ai quali insegnai, in buona fede, una storia del Risorgimento italiano
falsificata, censurata, mitizzata e addomesticata per fini di educazione
patriottica, secondo la versione ufficiale: con un falso Re Galantuomo, un
falso Cavour, un falso Mazzini, un falso Garibaldi, una falsa Impresa dei Mille
… Chiedo perdono per aver ignorato, nelle mie lezioni, la persecuzione
contro la Chiesa cattolica attuata prima dai governi massonici del Regno
di Sardegna e poi da quelli dello Stato italiano, con la soppressione
degli ordini religiosi dichiarati “inutili”, la confisca dei loro beni e la
cacciata dalle loro case (i conventi) di ben 57.492 frati, monaci e
monache, dai gesuiti ai francescani, dai benedettini ai domenicani, dalle
clarisse alle carmelitane, tra il 1848 e il 1873. Sudditi incolpevoli,
gettati sul lastrico, privati anche del lavoro, dei libri, degli arredi sacri,
della vita che avevano scelto, spogliati con la calunnia della loro dignità,
maltrattati e talora incarcerati,come rievoca Angela Pellicciari nel libro
intitolato “L’altro Risorgimento - Una guerra di religione dimenticata”, ed.
Ares (Milano 1998).
Chiedo perdono per non aver spiegato ai miei studenti che lo slogan “Libera Chiesa in libero Stato”, attribuito a Cavour, era una menzogna: perché i governi sabaudi non rispettavano per i cattolici (che erano la quasi totalità della popolazione) i diritti di libertà, di proprietà e di inviolabilità del domicilio sanciti dallo Statuto. A mia parziale discolpa, ricordo che sulla storia del Risorgimento ero stato ingannato da tutti i miei insegnanti, fino alla laurea in lettere, e ancora dopo dai libri di testo, dal conformismo di illustri storiografi e dalla propaganda di Stato,ammantata anche di monumenti celebrativi e intitolazioni di scuole e di strade >>. Nicola Bruni - da La Tecnica della Scuola - 25 gennaio 2014
Chiedo perdono per non aver spiegato ai miei studenti che lo slogan “Libera Chiesa in libero Stato”, attribuito a Cavour, era una menzogna: perché i governi sabaudi non rispettavano per i cattolici (che erano la quasi totalità della popolazione) i diritti di libertà, di proprietà e di inviolabilità del domicilio sanciti dallo Statuto. A mia parziale discolpa, ricordo che sulla storia del Risorgimento ero stato ingannato da tutti i miei insegnanti, fino alla laurea in lettere, e ancora dopo dai libri di testo, dal conformismo di illustri storiografi e dalla propaganda di Stato,ammantata anche di monumenti celebrativi e intitolazioni di scuole e di strade >>. Nicola Bruni - da La Tecnica della Scuola - 25 gennaio 2014
(8)
Trattasi
del cosiddetto “armadio delle vergogne”,di cui all’ interpellanza parlamentare
n. 2-01134 dell’on. Angelo Manna nella seduta della Camera dei Deputati di
lunedì 4 marzo 1991,che si riporta di seguito:
Resoconto
stenografico 597 - seduta di lunedì 4 marzo 1991 La celebre interpellanza
parlamentare dell'on. Angelo Manna
Presidenza del Vicepresidente Adolfo SARTI
Presidenza del Vicepresidente Adolfo SARTI
PRESIDENTE.
L'ordine del giorno reca: Interpellanza e interrogazioni.
Cominciamo dalla seguente interpellanza:
Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della Difesa, per sapere - constatato che vige tuttora il più ostinato e pavido top secret di fatto su quasi tutti i documenti comprovanti gli intenzionali bestiali crimini perpetrati dalla soldataglia piemontese ai danni delle popolazioni, per lo più inermi, delle "usurpate province meridionali" dal tempo della camorristica conquista di Napoli a quello della cosiddetta "breccia di Porta Pia" (praticata dai papalini dal di dentro delle mura leonine?..): top secret voluto, evidentemente, dai grandi custodi di quell'epoca di scelleratezze e di razzie che prese il nome di "Risorgimento italiano" e della quale il sud paga sempre più a caro prezzo le conseguenze; considerato altresì che nell'assoggettato ex reame libero e indipendente va assumendo, finalmente, sempre più vaste proporzioni quel processo di revisione e di demistificazione della storia scritta dai vincitori (tuttora ufficiale!) che dovrà fornire le motivazioni di fondo e lo stimolo alle future immancabili rivendicazioni politiche delle colonizzate regioni -: quando vorrà degnarsi di consentire il libero accesso agli archivi dello stato maggiore dell'esercito italiano che nascondono tuttora, in almeno duemila grossi volumi, documenti fondamentali di natura non già soltanto militare (ordini, dispacci, rapporti relativi a movimenti di truppa e ad esiti di combattimenti, di imboscate e di raid repressivi e briganteschi), ma anche e soprattutto di natura squisitamente politica: istruzioni riservate e anche cifrate del governo subalpino a profittatori, luogotenenti, prefetti, ufficiali superiori, sindaci, comandanti di guardie nazionali; verbali di interrogatori eseguiti nelle carceri, nelle caserme, presso le sedi municipali dagli aguzzini in uniforme che si coprono di disonore nell'infame periodo delle leggi marziali e delle sbrigative esecuzioni capitali; soffiate di spie e informazioni di agenti segreti ai militari, distinte di requisizioni e di espropri illegittimi con l'indicazione delle vittime; elenchi dettagliati dei preziosi, dei contanti e degli oggetti d'arte o sacri razziati nelle case, nei banchi pubblici, nei palazzi reali e nelle chiese; concessioni, infine, di premi, cattedre universitarie o liceali, sussidi una tantum o vitalizi a rinnegati, prostitute, delinquenti comuni (camorristi) e profittatori dai nomi altisonanti trasformati in "eroi puri" e beatificati o divinizzati nei sacri testi della agiografia risorgimentale.
(2-1134) "Manna". (25 settembre 1990).
L'onorevole Manna ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01134.
Angelo MANNA. Rinunzio ad illustrarla, signor Presidente, e mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. L'onorevole sottosegretario di Stato per la difesa ha facoltà di rispondere.
Clemente MASTELLA. Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, onorevole Manna, la mia risposta - me ne dispiace molto - è brevissima, per la verità. L'accesso ai documenti sul brigantaggio custoditi presso lo stato maggiore dell'esercito, contenuti in circa 140 contenitori e non duemila, come si legge nell'interrogazione, è libero. Unica formalità di rito è una richiesta scritta preventiva, necessaria per regolare l'afflusso dei visitatori. I documenti sono già stati utilizzati per realizzare opere edite.
PRESIDENTE. L'onorevole Manna ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la sua interpellanza n. 2-01134.
Angelo MANNA. Signor Presidente, non credo di potermi dichiarare soddisfatto per la risposta fornitami dall'onorevole sottosegretario, che avrei preferito non vedere stasera in quest'aula per il fatto che sono suo conterraneo e so benissimo quanto è costato ai suoi antenati vivere a Ceppaloni, a un tiro di schioppo da Casalduni e Pontelandolfo, terre ancora oggi maledette, terre di briganti, come furono definite, con tanto di carta protocollo e timbri dal regno unitario, nel 1861. Della risposta che a nome del governo si è degnata di dare alla mia interpellanza, ella è stato soltanto – mi scusi - la voce: e neppure la voce dell'attore, ma - mi consenta - quella del pappagallo (non ce l'ho con lei personalmente), perché quale rappresentante del Governo ella si è informata sommariamente e si è accontentata della solita risposta evasiva, degna soltanto della massima commiserazione, vista che a fornirgliela sono stati alti ufficiali di un esercito che è proprio quello che io mi sono sforzato di descrivere per 35 anni, degno erede di quello sardo-piemontese. Quello che è peggio, signor sottosegretario, è che, lungi dall'aver risposto in maniera neppure evasiva, ella ha prestato la sua voce di pappagallo ad uno stantio e puzzolente copione che, scritto male e stampato peggio, è quello che la solita combriccola dello stato maggiore dell'esercito italiano rabbercia e stiracchia a piacimento da più di un secolo, e da più di un secolo riesce ad imporre finanche ai rappresentanti del Governo dello Stato unitario, perché ad esso possono prestare soltanto la voce, e neppure quella dell'attore: quella del pappagallo. Per carità di greppia? No! Per carità di patria. Sì! Certo: l'ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito italiano è l'armadio nel quale la setta tricolore conserva e protegge i suoi risorgimentali scheletri infami; conserva e protegge le prove delle sue gloriosità sempre abiette; conserva e protegge le prove che nel 1860 l'esercito italiano calò a tradimento del Regno di Napoli e si comportò, secondo il naturale dei suoi bersaglieri e carabinieri, da orda barbarica; conserva e protegge le prove che Vittorio Emanuele II di Savoia, ladro, usurpatore ed assassino - e perciò galantuomo - nonché il suo protobeccaio Benso Camillo, porco di Stato - e perciò statista sommo - ordinarono ai propri sadici macellai di mettere a ferro e a fuoco l'invaso reame libero, indipendente e sovrano e di annetterlo al Piemonte grazie ad un plebiscito che fu una truffa schifosa, combinata da garibaldesi, soldataglia allobrogica e camorra napoletana. L'ufficio dello stato maggiore dell'esercito italiano è l'armadio nel quale l'unificazione tiene sotto chiave il proprio fetore storico: quello dei massacri bestiali, delle profanazioni e dei furti sacrileghi, degli incendi dolosi, delle torture, delle confische abusive, delle collusioni con Tore e Crescienzo (all'anagrafe Salvatore De Crescenzo) e con la sua camorra, degli stupri di fanciulle, delle giustizie sommarie di cafoni miserabili ed inermi, delle prebende e dei privilegi dispensati a traditori, assassini e prostitute, come la famigerata Sangiovannara, De Crescenzo, anch'essa, per l'anagrafe… Quali studiosi hanno potuto aprire questi armadi infami, signor sottosegretario? I crociati postumi, gli scribacchini diventati cattedratici per aver saputo rinnegare la propria origine e per aver saputo rinunciare alla ricerca della verità storica, per aver dimostrato di saper essere i sacerdoti del sacro fuoco del mendacio. Signor Presidente, per favore, si giri: guardi il pannello alle sue spalle. E' falso, è un falso storico! L'ho detto e ridetto sette anni fa: alle urne, nel Regno di Napoli invaso, si presentò solo l'1,9 per cento! Come si ebbe, allora, un milione di voti?
Mauro MELLINI. Si fece con la tecnica dell'8 per mille!
Angelo MANNA. Sapessi a quante tecniche si fece ricorso!
PRESIDENTE. Onorevole Manna, mi consenta di interromperla. Le prometto che detrarrò dal computo del tempo a sua disposizione quello utilizzato per il mio intervento. Vorrei che lei sapesse che l'ascolto: anch'io mi considero un modesto cultore delle memorie storiche. Naturalmente, mi sono fatto un'opinione precisa, anche perché ho un'età purtroppo più avanzata della sua.
Angelo MANNA. Non è colpa sua, né merito mio…
PRESIDENTE. Mi consenta di farle una piccola raccomandazione sul linguaggio. Non mi permetterei mai di entrare in un dibattito storiografico di tanto interesse. La invito soltanto a quella moderazione di linguaggio per la narrazione di eventi drammatici, che pure appartengono in qualche modo alla storia d'Italia. Ne guadagnerà anche l'obiettività, la serenità e l'austerità di quest'aula.
Angelo MANNA. La ringrazio, signor Presidente. Accetto comunque la sua raccomandazione anche perché so che lei, da buon piemontese serio, ha letto i testi scritti sull'altra sponda e quelli del suo generale piemontese (una persona perbene) il Bertoletti, che ha scritto Il Risorgimento visto dall'altra sponda: un testo che io stesso curai quando l'editore napoletano Arturo Berisio volle ripubblicarlo, una trentina di anni fa.
PRESIDENTE. Conosco perfettamente questo genere letterario e le voglio ricordare che una casa editrice piemontese, che anche posso nominare…
Angelo MANNA. Io le dirò che è stato ristampato a Napoli.
PRESIDENTE. …nell'immediato secondo dopoguerra presentò una raffigurazione della storia d'Italia più problematica di quella esposta nei testi ufficiali. Mi riferisco ad un testo aureo che credo lei abbia ben presente, e che è L'Alfiere di Alianello.
Angelo MANNA. La ringrazio per la citazione. Alianello è uno dei miei sacri evangelisti.
Clemente MASTELLA, sottosegretario di Stato per la Difesa. Visto l'andamento della discussione, il Governo non c'entra! E' un dialogo fra di voi.
Angelo MANNA. I piemontesi "buoni", voglio dire onesti, ci sono sempre stati, ed anche a quel tempo. Uno per tutti il generale Covone, fior di galantuomo, che però ebbe il torto di mettersi troppe volte sugli attenti di fronte ad una canaglia come Cialdini e a emeriti cialtroni come Fanti, Della Rocca, Pinelli. Li vogliamo nominare tutti i cattivi? Non la finiremmo più! Certo, signor Presidente, anche qualche generale italiano è stato preso di recente dalla fregola della ricerca storica. E quello che è riuscito a capire, a scrivere e a dare alle stampe, è stato ed è mi consenta, signor Presidente - roba da storico voltastomaco. Il generale Oreste Bovio, che dal 1980 al 1982 ha retto l'ufficio storico dell'esercito italiano, ha osato pubblicare nel 1987, naturalmente a spese dello Stato, quanto segue:"Non può ragionevolmente essere fatto alcun addebito all'ufficio storico dell'esercito per non aver sentito la necessità di analizzare un comportamento delle unità impiegate nella lotta al brigantaggio. Quale importanza potevano avere allora piccoli scontri con briganti e predoni?". Povera storia, signor Presidente! Poveri cafoni meridionali, povera questione ardente, agraria, sociale! Povero Pasquale Villari, povero Antonio Gramsci, povero Guido Dorso, povero Gaetano Salvemini, povero Franco Molfese! Povera questione meridionale! Voglio supporre che questo Oreste Bovio sia stato gratificato abbastanza, magari con diplomi medaglie e mance competenti, dalla setta allobrogo-ligustre-longobarda alla quale ha mostrato di sapere tanto bene reggere il sacco. E voglio sperare che le avrie leghe nordiste, tanto care al liberalcapitalismo (gratificato a dovere dal "negrieismo" a basso costo sacramentato dalla legge Martelli) vorranno tenere presente, nelle loro antistoriche confutazioni della storia, questo pagliaccio di generale che, loro involontario profeta, con pochi tratti di penna pagatigli dallo Stato, ha annullato gli orrori dei massacri contadini meridionali da parte dell'orda assetata di sangue e di bottino, ed ha creduto che il clòu della questione meridionale - la sua bestiale conseguenza e cioè l'emigrazione in massa, come "cacciata dei cafoni" dalle proprie terre - fosse una fola inventata da revanscisti borboniani, o capricci di meridionali dediti al girovaghiamo per essere nati con la spiccata tendenza al turismo. Certo, negli armadi dello stato maggiore vi saranno anche le prove del fatto - ormai provato abbastanza - che, se a partire dal 1860, alla sua prima uscita, il regno unificato scrisse pagine vergognose ed abiette, non si rifece affatto nella prima guerra mondiale e toccò il fondo nella seconda, quando tradì nel 1914 la Triplice e quando, trent'anni dopo, tradì Germania e Giappone ed accorse in aiuto del vincitore anglo-franco-americano e si fece finanche stuprare, eroicamente, si capisce, dai marocchini. Ma noi del Sud - che non intende subire ulteriormente il danno della colonizzazione tendente all'assoggettamento totale e la beffa della distorsione premeditata dei fatti storici, che la sua colonizzazione determinò - non interessano le bubbole che i vestali del sacro fuoco del mendacio tricolore fanno propalare anche ad un sottosegretario di stato, nella certezza che, per carità di patria, anche egli, come i suoi predecessori, non disdegni di farsi complice loro nel servire la mistificazione e i suoi profeti abietti. L'ufficio storico dell'esercito italiano custodisce e protegge le prove storiche che quella sacra epopea, che fu detta Risorgimento, altro non fu se non una schifosa pagina di rapine e di massacri scritta da un'orda barbarica che, oltre la vita ed i beni, rubò al Sud e portò nell'infranciosato Piemonte finanche il sacro nome d'Italia. Gli armadi con gli scheletri infami, che riguardano la repressione del cosiddetto brigantaggio - che fu epopea storica di decine di migliaia di cafoni disperati - recano la catalogazione G11 e G3, e sono circa 150 mila i fogli che, contenuti in 140 dossiers, costituiscono la prova documentale delle efferatezze subite dal Reame degradato a feudo sabaudo, da disbattezzare, spremere, colonizzare e sottomettere. Signor sottosegretario, signor Presidente, colleghi, io non mi chiedo affatto se l'aspetto più vergognoso sia rappresentato dal non già ottuso ma settario rifiuto da parte degli eredi della soldataglia piemontese, ligure e lombarda di aprire gli armadi infami, o se sia piuttosto rappresentato dall'acquiescenza, che è omertà passiva, di un Governo che consente a dei soldati (che possono solo gloriarsi di avere fatto carriera sul campo dell'eterna battaglia delle lottizzazioni ingaggiata dai partiti democratici egemoni) di gestire a piacimento una massa di documenti storici di eccezionale valore e di concederli in visione a piacimento soltanto a scrittorelli di indubbia fede antistorica, che non sprezzerebbero mai il sacro giuramento ateo liberal-capitalistico di servire vita natural durante il mendacio tricolore sul quale è fondata l'ancora imperversante agiografia del cosiddetto Risorgimento. Sulla questione dell'ufficio storico dell'esercito italiano quattro anni fa Giorgio Bocca scrisse su L'Espresso: "Sarebbe davvero troppo chiedere ai militari di documentare e pubblicizzare le violazioni della morale comune che il potere politico gli ha chiesto e ordinato". Il Bocca non andò oltre, non so se per calcolo tricolorico o per improvviso inceppamento del cervello. Oltre - me lo consenta, signor Presidente - vado io. Affermando che il copione che i responsabili dell'ufficio storico dell'esercito italiano rabberciano e stiracchiano a piacimento e impongono persino ad un rappresentante del Governo italiano affinché si compiaccia di prestare alle sue battute soltanto la voce (neppure quella dell'attore, ma quella del pappagallo), ha 131 anni e non può essere rimaneggiato, riveduto, corretto, adattato ai tempi, adeguato alle necessità della storia. Sarebbe troppo esigere dai militari l'apertura degli armadi nei quali sono custoditi e protetti gli scheletri del cosiddetto Risorgimento. Ma non perché mai e poi mai, signor Presidente, un esercito ammetterebbe i crimini di cui si è macchiato per ordine di una classe politica egemone. Tutti gli eserciti del mondo commettono crimini orrendi, saponificando, napalmizzando, lanciando bombe atomiche, chimiche, batteriologiche, ed è umano che nessun esercito sia disposto a mettere in piazza la propria disumanità e a produrne l'inconfutabile prova documentale. Nel nostro caso, però, si tratterebbe di mettere in piazza che gli eroi del cosiddetto Risorgimento furono dei criminali sull'orlo dell'asburgizzazione, e che i loro sacri ideali fecero da paravento a uzzoli predatori e sanguinari. Al grido di:"fuori lo straniero" gli eroi - cioè i criminali - imposero ai rinnegati e agli spergiuri del Regno di Napoli la cacciata di un re che era napoletano da quattro generazioni e la distruzione di uno Stato libero, indipendente e sovrano. Ed al suo posto imposero un re che parlava francese e che era il re più spergiuro e fellone e debitoso d'Europa, a prova di storia. Nel nostro caso si tratterebbe di mettere in piazza che l'annessione del reame napoletano fu un'operazione che senza l'intervento della camorra non sarebbe riuscita. Furono i camorristi di Salvatore De Crescenzo, "Tore e Crescienzo", a presidiare i seggi nel corso del truffaldino plebiscito e ad "uccidere di mazzate" i difensori timidi, pavidi, delle ragioni della monarchia nazionale borbonica. E furono ancora i camorristi ad inchiodare con le bocche rivolte verso il mare i cannoni che i fedelissimi della guardia nazionale (che si fregiava della bandiera tricolore, signor Presidente) avevano puntato sulla stazione ferroviaria dove, proveniente da Salerno, sarebbe arrivato lui, il leone imbecille, Giuseppe Garibaldi. Nel nostro caso, signor Presidente, si tratterebbe di mettere in piazza che ai decennali massacri belluini perpetrati dall'orda barbarica seguì un'emigrazione che fu un'esplosione, a catena, che fu l'effetto della raffica di calcioni tricolori sparata dal regno unitario nei fondelli sfondati di coloro i quali avevano avuto l'infelice idea di scampare ai massacri. In tal modo si renderebbero pubbliche finalmente le cause vere della questione meridionale e si fornirebbero dunque ai politici e ai sindacati di oggi, signor Presidente, le basi sulle quali impiantare, finalmente, la fabbrica dei rimedi specifici. Nel nostro caso, infine, si tratterebbe di mettere in piazza che l'invasione, l'annessione e i massacri subiti dall'Emirato libero e sovrano del Kuwait pochi mesi fa li subì il Reame di Napoli ad opera di Saddam Hussein che si chiamava Vittorio Emanuele II, nel 1860…
Mauro MELLINI. In fatto di poligamia certamente un collegamento c'è!
Angelo MANNA. …e che anche allora l'invasione, l'annessione ed i massacri costituirono una violazione del diritto internazionale… Ma noi non avevamo il petrolio, caro Mellini. Avevamo soltanto l'oro, la dignità, l'onore… E, ciò che contava, eravamo un'enorme piazza di consumo:un mercato di nove milioni e mezzo di bocche!… E la comunità mondiale se ne stette comodamente a guardare! E, quando fu raggiunta dagli urli di sdegno degli uomini, e dai lamenti dei torturati, e dalle grida delle fanciulle, stuprate - signor Presidente, lei che è un cultore di storia - talvolta soltanto a colpi di baionetta, si affrettò a chiudere finestre e balconi; infastidita, molestata dal rumore. Signor sottosegretario, ho avuto dei rapporti con Falco Accade, che è stato Presidente della Commissione Difesa nella IX legislatura, e con i colleghi Edo Ronchi e Guido Pollice. Abbiamo spesso convenuto che bisognerebbe trasferire la massa documentale di cui l'esercito è tenutario e protettore dal 1856 (da quattro anni prima dell'annessione del Regno di Napoli a quello piemontese:quindi da quando non era esercito italiano ma esercito sardo-piemontese) presso gli archivi di Stato. Ma - quanto volte ho dovuto eccepirlo - a ciò non si opporrebbe l'esercito, ma tutti quei ministri i quali, pur di continuare a far credere agli italiani la bella favola del cosiddetto Risorgimento, non esitano a venire in quest'aula (o a frequentare convegni, presiedere congressi) per prestare a copioni vetusti le proprie voci nemmeno di attori, di pappagalli. E a rimetterci quel po' di prestigio ministeriale, governativo e italiano, che ancora avevano. Signor sottosegretario, nell'esprimere queste affermazioni - e le chiedo perdono se da conterraneo, involontariamente, l'ho offesa - vorrei precisare che per dichiararmi soddisfatto della sua risposta dovrei aver fatto finta di non aver letto tutte le analoghe risposte fornite dai ministri Spadolini e Zanone prima ancora che da lei. Risposte tutte uguali: e tutte bugiarde! Onorevole sottosegretario, se lo gradirà, potrò darle una copia degli atti del convegno sul brigantaggio meridionale svoltosi a Cerreto Sannita nel 1986. Tra i suoi documenti vi è la scheda con la quale gli studiosi possono chiedere l'accesso alla massa documentale riguardante il brigantaggio e il cosiddetto Risorgimento. Dall'esame di questa scheda ella si potrà rendere conto che, alla fine, questi documenti restano inaccessibili ai quivis de populo…Ricordo che il generale Poli l'11 marzo 1987 scrisse al vicepresidente della Commissione difesa della Camera, l'onorevole Baraccetti, le seguenti parole:" Il problema più generale del libero accesso all'ufficio storico nella realtà non esiste, in quanto nel pieno rispetto e nell'osservanza del decreto del Presidente della Repubblica n. 1409 del 30 settembre 1963, il suo archivio è aperto a tutti i ricercatori, italiani e stranieri, senza remora o restrizione alcuna. Ne fanno fede le larghe utenze fruite da grossi nomi del mondo accademico".
Sottolineo che tra questi "grossi nomi" non vi è nessun meridionale, nessuno studente, nessuno studioso attendibile. A fruire dei "pazzi" sono stati e sono sempre i soliti scribacchini che fanno spendere centinaia di miliardi al contribuente italiano per consolidare le "puttanate" che gli storici prezzolati cominciarono a scrivere dal 1860 in poi, forti del solo merito di aver vinto!
Cominciamo dalla seguente interpellanza:
Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della Difesa, per sapere - constatato che vige tuttora il più ostinato e pavido top secret di fatto su quasi tutti i documenti comprovanti gli intenzionali bestiali crimini perpetrati dalla soldataglia piemontese ai danni delle popolazioni, per lo più inermi, delle "usurpate province meridionali" dal tempo della camorristica conquista di Napoli a quello della cosiddetta "breccia di Porta Pia" (praticata dai papalini dal di dentro delle mura leonine?..): top secret voluto, evidentemente, dai grandi custodi di quell'epoca di scelleratezze e di razzie che prese il nome di "Risorgimento italiano" e della quale il sud paga sempre più a caro prezzo le conseguenze; considerato altresì che nell'assoggettato ex reame libero e indipendente va assumendo, finalmente, sempre più vaste proporzioni quel processo di revisione e di demistificazione della storia scritta dai vincitori (tuttora ufficiale!) che dovrà fornire le motivazioni di fondo e lo stimolo alle future immancabili rivendicazioni politiche delle colonizzate regioni -: quando vorrà degnarsi di consentire il libero accesso agli archivi dello stato maggiore dell'esercito italiano che nascondono tuttora, in almeno duemila grossi volumi, documenti fondamentali di natura non già soltanto militare (ordini, dispacci, rapporti relativi a movimenti di truppa e ad esiti di combattimenti, di imboscate e di raid repressivi e briganteschi), ma anche e soprattutto di natura squisitamente politica: istruzioni riservate e anche cifrate del governo subalpino a profittatori, luogotenenti, prefetti, ufficiali superiori, sindaci, comandanti di guardie nazionali; verbali di interrogatori eseguiti nelle carceri, nelle caserme, presso le sedi municipali dagli aguzzini in uniforme che si coprono di disonore nell'infame periodo delle leggi marziali e delle sbrigative esecuzioni capitali; soffiate di spie e informazioni di agenti segreti ai militari, distinte di requisizioni e di espropri illegittimi con l'indicazione delle vittime; elenchi dettagliati dei preziosi, dei contanti e degli oggetti d'arte o sacri razziati nelle case, nei banchi pubblici, nei palazzi reali e nelle chiese; concessioni, infine, di premi, cattedre universitarie o liceali, sussidi una tantum o vitalizi a rinnegati, prostitute, delinquenti comuni (camorristi) e profittatori dai nomi altisonanti trasformati in "eroi puri" e beatificati o divinizzati nei sacri testi della agiografia risorgimentale.
(2-1134) "Manna". (25 settembre 1990).
L'onorevole Manna ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01134.
Angelo MANNA. Rinunzio ad illustrarla, signor Presidente, e mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. L'onorevole sottosegretario di Stato per la difesa ha facoltà di rispondere.
Clemente MASTELLA. Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, onorevole Manna, la mia risposta - me ne dispiace molto - è brevissima, per la verità. L'accesso ai documenti sul brigantaggio custoditi presso lo stato maggiore dell'esercito, contenuti in circa 140 contenitori e non duemila, come si legge nell'interrogazione, è libero. Unica formalità di rito è una richiesta scritta preventiva, necessaria per regolare l'afflusso dei visitatori. I documenti sono già stati utilizzati per realizzare opere edite.
PRESIDENTE. L'onorevole Manna ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la sua interpellanza n. 2-01134.
Angelo MANNA. Signor Presidente, non credo di potermi dichiarare soddisfatto per la risposta fornitami dall'onorevole sottosegretario, che avrei preferito non vedere stasera in quest'aula per il fatto che sono suo conterraneo e so benissimo quanto è costato ai suoi antenati vivere a Ceppaloni, a un tiro di schioppo da Casalduni e Pontelandolfo, terre ancora oggi maledette, terre di briganti, come furono definite, con tanto di carta protocollo e timbri dal regno unitario, nel 1861. Della risposta che a nome del governo si è degnata di dare alla mia interpellanza, ella è stato soltanto – mi scusi - la voce: e neppure la voce dell'attore, ma - mi consenta - quella del pappagallo (non ce l'ho con lei personalmente), perché quale rappresentante del Governo ella si è informata sommariamente e si è accontentata della solita risposta evasiva, degna soltanto della massima commiserazione, vista che a fornirgliela sono stati alti ufficiali di un esercito che è proprio quello che io mi sono sforzato di descrivere per 35 anni, degno erede di quello sardo-piemontese. Quello che è peggio, signor sottosegretario, è che, lungi dall'aver risposto in maniera neppure evasiva, ella ha prestato la sua voce di pappagallo ad uno stantio e puzzolente copione che, scritto male e stampato peggio, è quello che la solita combriccola dello stato maggiore dell'esercito italiano rabbercia e stiracchia a piacimento da più di un secolo, e da più di un secolo riesce ad imporre finanche ai rappresentanti del Governo dello Stato unitario, perché ad esso possono prestare soltanto la voce, e neppure quella dell'attore: quella del pappagallo. Per carità di greppia? No! Per carità di patria. Sì! Certo: l'ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito italiano è l'armadio nel quale la setta tricolore conserva e protegge i suoi risorgimentali scheletri infami; conserva e protegge le prove delle sue gloriosità sempre abiette; conserva e protegge le prove che nel 1860 l'esercito italiano calò a tradimento del Regno di Napoli e si comportò, secondo il naturale dei suoi bersaglieri e carabinieri, da orda barbarica; conserva e protegge le prove che Vittorio Emanuele II di Savoia, ladro, usurpatore ed assassino - e perciò galantuomo - nonché il suo protobeccaio Benso Camillo, porco di Stato - e perciò statista sommo - ordinarono ai propri sadici macellai di mettere a ferro e a fuoco l'invaso reame libero, indipendente e sovrano e di annetterlo al Piemonte grazie ad un plebiscito che fu una truffa schifosa, combinata da garibaldesi, soldataglia allobrogica e camorra napoletana. L'ufficio dello stato maggiore dell'esercito italiano è l'armadio nel quale l'unificazione tiene sotto chiave il proprio fetore storico: quello dei massacri bestiali, delle profanazioni e dei furti sacrileghi, degli incendi dolosi, delle torture, delle confische abusive, delle collusioni con Tore e Crescienzo (all'anagrafe Salvatore De Crescenzo) e con la sua camorra, degli stupri di fanciulle, delle giustizie sommarie di cafoni miserabili ed inermi, delle prebende e dei privilegi dispensati a traditori, assassini e prostitute, come la famigerata Sangiovannara, De Crescenzo, anch'essa, per l'anagrafe… Quali studiosi hanno potuto aprire questi armadi infami, signor sottosegretario? I crociati postumi, gli scribacchini diventati cattedratici per aver saputo rinnegare la propria origine e per aver saputo rinunciare alla ricerca della verità storica, per aver dimostrato di saper essere i sacerdoti del sacro fuoco del mendacio. Signor Presidente, per favore, si giri: guardi il pannello alle sue spalle. E' falso, è un falso storico! L'ho detto e ridetto sette anni fa: alle urne, nel Regno di Napoli invaso, si presentò solo l'1,9 per cento! Come si ebbe, allora, un milione di voti?
Mauro MELLINI. Si fece con la tecnica dell'8 per mille!
Angelo MANNA. Sapessi a quante tecniche si fece ricorso!
PRESIDENTE. Onorevole Manna, mi consenta di interromperla. Le prometto che detrarrò dal computo del tempo a sua disposizione quello utilizzato per il mio intervento. Vorrei che lei sapesse che l'ascolto: anch'io mi considero un modesto cultore delle memorie storiche. Naturalmente, mi sono fatto un'opinione precisa, anche perché ho un'età purtroppo più avanzata della sua.
Angelo MANNA. Non è colpa sua, né merito mio…
PRESIDENTE. Mi consenta di farle una piccola raccomandazione sul linguaggio. Non mi permetterei mai di entrare in un dibattito storiografico di tanto interesse. La invito soltanto a quella moderazione di linguaggio per la narrazione di eventi drammatici, che pure appartengono in qualche modo alla storia d'Italia. Ne guadagnerà anche l'obiettività, la serenità e l'austerità di quest'aula.
Angelo MANNA. La ringrazio, signor Presidente. Accetto comunque la sua raccomandazione anche perché so che lei, da buon piemontese serio, ha letto i testi scritti sull'altra sponda e quelli del suo generale piemontese (una persona perbene) il Bertoletti, che ha scritto Il Risorgimento visto dall'altra sponda: un testo che io stesso curai quando l'editore napoletano Arturo Berisio volle ripubblicarlo, una trentina di anni fa.
PRESIDENTE. Conosco perfettamente questo genere letterario e le voglio ricordare che una casa editrice piemontese, che anche posso nominare…
Angelo MANNA. Io le dirò che è stato ristampato a Napoli.
PRESIDENTE. …nell'immediato secondo dopoguerra presentò una raffigurazione della storia d'Italia più problematica di quella esposta nei testi ufficiali. Mi riferisco ad un testo aureo che credo lei abbia ben presente, e che è L'Alfiere di Alianello.
Angelo MANNA. La ringrazio per la citazione. Alianello è uno dei miei sacri evangelisti.
Clemente MASTELLA, sottosegretario di Stato per la Difesa. Visto l'andamento della discussione, il Governo non c'entra! E' un dialogo fra di voi.
Angelo MANNA. I piemontesi "buoni", voglio dire onesti, ci sono sempre stati, ed anche a quel tempo. Uno per tutti il generale Covone, fior di galantuomo, che però ebbe il torto di mettersi troppe volte sugli attenti di fronte ad una canaglia come Cialdini e a emeriti cialtroni come Fanti, Della Rocca, Pinelli. Li vogliamo nominare tutti i cattivi? Non la finiremmo più! Certo, signor Presidente, anche qualche generale italiano è stato preso di recente dalla fregola della ricerca storica. E quello che è riuscito a capire, a scrivere e a dare alle stampe, è stato ed è mi consenta, signor Presidente - roba da storico voltastomaco. Il generale Oreste Bovio, che dal 1980 al 1982 ha retto l'ufficio storico dell'esercito italiano, ha osato pubblicare nel 1987, naturalmente a spese dello Stato, quanto segue:"Non può ragionevolmente essere fatto alcun addebito all'ufficio storico dell'esercito per non aver sentito la necessità di analizzare un comportamento delle unità impiegate nella lotta al brigantaggio. Quale importanza potevano avere allora piccoli scontri con briganti e predoni?". Povera storia, signor Presidente! Poveri cafoni meridionali, povera questione ardente, agraria, sociale! Povero Pasquale Villari, povero Antonio Gramsci, povero Guido Dorso, povero Gaetano Salvemini, povero Franco Molfese! Povera questione meridionale! Voglio supporre che questo Oreste Bovio sia stato gratificato abbastanza, magari con diplomi medaglie e mance competenti, dalla setta allobrogo-ligustre-longobarda alla quale ha mostrato di sapere tanto bene reggere il sacco. E voglio sperare che le avrie leghe nordiste, tanto care al liberalcapitalismo (gratificato a dovere dal "negrieismo" a basso costo sacramentato dalla legge Martelli) vorranno tenere presente, nelle loro antistoriche confutazioni della storia, questo pagliaccio di generale che, loro involontario profeta, con pochi tratti di penna pagatigli dallo Stato, ha annullato gli orrori dei massacri contadini meridionali da parte dell'orda assetata di sangue e di bottino, ed ha creduto che il clòu della questione meridionale - la sua bestiale conseguenza e cioè l'emigrazione in massa, come "cacciata dei cafoni" dalle proprie terre - fosse una fola inventata da revanscisti borboniani, o capricci di meridionali dediti al girovaghiamo per essere nati con la spiccata tendenza al turismo. Certo, negli armadi dello stato maggiore vi saranno anche le prove del fatto - ormai provato abbastanza - che, se a partire dal 1860, alla sua prima uscita, il regno unificato scrisse pagine vergognose ed abiette, non si rifece affatto nella prima guerra mondiale e toccò il fondo nella seconda, quando tradì nel 1914 la Triplice e quando, trent'anni dopo, tradì Germania e Giappone ed accorse in aiuto del vincitore anglo-franco-americano e si fece finanche stuprare, eroicamente, si capisce, dai marocchini. Ma noi del Sud - che non intende subire ulteriormente il danno della colonizzazione tendente all'assoggettamento totale e la beffa della distorsione premeditata dei fatti storici, che la sua colonizzazione determinò - non interessano le bubbole che i vestali del sacro fuoco del mendacio tricolore fanno propalare anche ad un sottosegretario di stato, nella certezza che, per carità di patria, anche egli, come i suoi predecessori, non disdegni di farsi complice loro nel servire la mistificazione e i suoi profeti abietti. L'ufficio storico dell'esercito italiano custodisce e protegge le prove storiche che quella sacra epopea, che fu detta Risorgimento, altro non fu se non una schifosa pagina di rapine e di massacri scritta da un'orda barbarica che, oltre la vita ed i beni, rubò al Sud e portò nell'infranciosato Piemonte finanche il sacro nome d'Italia. Gli armadi con gli scheletri infami, che riguardano la repressione del cosiddetto brigantaggio - che fu epopea storica di decine di migliaia di cafoni disperati - recano la catalogazione G11 e G3, e sono circa 150 mila i fogli che, contenuti in 140 dossiers, costituiscono la prova documentale delle efferatezze subite dal Reame degradato a feudo sabaudo, da disbattezzare, spremere, colonizzare e sottomettere. Signor sottosegretario, signor Presidente, colleghi, io non mi chiedo affatto se l'aspetto più vergognoso sia rappresentato dal non già ottuso ma settario rifiuto da parte degli eredi della soldataglia piemontese, ligure e lombarda di aprire gli armadi infami, o se sia piuttosto rappresentato dall'acquiescenza, che è omertà passiva, di un Governo che consente a dei soldati (che possono solo gloriarsi di avere fatto carriera sul campo dell'eterna battaglia delle lottizzazioni ingaggiata dai partiti democratici egemoni) di gestire a piacimento una massa di documenti storici di eccezionale valore e di concederli in visione a piacimento soltanto a scrittorelli di indubbia fede antistorica, che non sprezzerebbero mai il sacro giuramento ateo liberal-capitalistico di servire vita natural durante il mendacio tricolore sul quale è fondata l'ancora imperversante agiografia del cosiddetto Risorgimento. Sulla questione dell'ufficio storico dell'esercito italiano quattro anni fa Giorgio Bocca scrisse su L'Espresso: "Sarebbe davvero troppo chiedere ai militari di documentare e pubblicizzare le violazioni della morale comune che il potere politico gli ha chiesto e ordinato". Il Bocca non andò oltre, non so se per calcolo tricolorico o per improvviso inceppamento del cervello. Oltre - me lo consenta, signor Presidente - vado io. Affermando che il copione che i responsabili dell'ufficio storico dell'esercito italiano rabberciano e stiracchiano a piacimento e impongono persino ad un rappresentante del Governo italiano affinché si compiaccia di prestare alle sue battute soltanto la voce (neppure quella dell'attore, ma quella del pappagallo), ha 131 anni e non può essere rimaneggiato, riveduto, corretto, adattato ai tempi, adeguato alle necessità della storia. Sarebbe troppo esigere dai militari l'apertura degli armadi nei quali sono custoditi e protetti gli scheletri del cosiddetto Risorgimento. Ma non perché mai e poi mai, signor Presidente, un esercito ammetterebbe i crimini di cui si è macchiato per ordine di una classe politica egemone. Tutti gli eserciti del mondo commettono crimini orrendi, saponificando, napalmizzando, lanciando bombe atomiche, chimiche, batteriologiche, ed è umano che nessun esercito sia disposto a mettere in piazza la propria disumanità e a produrne l'inconfutabile prova documentale. Nel nostro caso, però, si tratterebbe di mettere in piazza che gli eroi del cosiddetto Risorgimento furono dei criminali sull'orlo dell'asburgizzazione, e che i loro sacri ideali fecero da paravento a uzzoli predatori e sanguinari. Al grido di:"fuori lo straniero" gli eroi - cioè i criminali - imposero ai rinnegati e agli spergiuri del Regno di Napoli la cacciata di un re che era napoletano da quattro generazioni e la distruzione di uno Stato libero, indipendente e sovrano. Ed al suo posto imposero un re che parlava francese e che era il re più spergiuro e fellone e debitoso d'Europa, a prova di storia. Nel nostro caso si tratterebbe di mettere in piazza che l'annessione del reame napoletano fu un'operazione che senza l'intervento della camorra non sarebbe riuscita. Furono i camorristi di Salvatore De Crescenzo, "Tore e Crescienzo", a presidiare i seggi nel corso del truffaldino plebiscito e ad "uccidere di mazzate" i difensori timidi, pavidi, delle ragioni della monarchia nazionale borbonica. E furono ancora i camorristi ad inchiodare con le bocche rivolte verso il mare i cannoni che i fedelissimi della guardia nazionale (che si fregiava della bandiera tricolore, signor Presidente) avevano puntato sulla stazione ferroviaria dove, proveniente da Salerno, sarebbe arrivato lui, il leone imbecille, Giuseppe Garibaldi. Nel nostro caso, signor Presidente, si tratterebbe di mettere in piazza che ai decennali massacri belluini perpetrati dall'orda barbarica seguì un'emigrazione che fu un'esplosione, a catena, che fu l'effetto della raffica di calcioni tricolori sparata dal regno unitario nei fondelli sfondati di coloro i quali avevano avuto l'infelice idea di scampare ai massacri. In tal modo si renderebbero pubbliche finalmente le cause vere della questione meridionale e si fornirebbero dunque ai politici e ai sindacati di oggi, signor Presidente, le basi sulle quali impiantare, finalmente, la fabbrica dei rimedi specifici. Nel nostro caso, infine, si tratterebbe di mettere in piazza che l'invasione, l'annessione e i massacri subiti dall'Emirato libero e sovrano del Kuwait pochi mesi fa li subì il Reame di Napoli ad opera di Saddam Hussein che si chiamava Vittorio Emanuele II, nel 1860…
Mauro MELLINI. In fatto di poligamia certamente un collegamento c'è!
Angelo MANNA. …e che anche allora l'invasione, l'annessione ed i massacri costituirono una violazione del diritto internazionale… Ma noi non avevamo il petrolio, caro Mellini. Avevamo soltanto l'oro, la dignità, l'onore… E, ciò che contava, eravamo un'enorme piazza di consumo:un mercato di nove milioni e mezzo di bocche!… E la comunità mondiale se ne stette comodamente a guardare! E, quando fu raggiunta dagli urli di sdegno degli uomini, e dai lamenti dei torturati, e dalle grida delle fanciulle, stuprate - signor Presidente, lei che è un cultore di storia - talvolta soltanto a colpi di baionetta, si affrettò a chiudere finestre e balconi; infastidita, molestata dal rumore. Signor sottosegretario, ho avuto dei rapporti con Falco Accade, che è stato Presidente della Commissione Difesa nella IX legislatura, e con i colleghi Edo Ronchi e Guido Pollice. Abbiamo spesso convenuto che bisognerebbe trasferire la massa documentale di cui l'esercito è tenutario e protettore dal 1856 (da quattro anni prima dell'annessione del Regno di Napoli a quello piemontese:quindi da quando non era esercito italiano ma esercito sardo-piemontese) presso gli archivi di Stato. Ma - quanto volte ho dovuto eccepirlo - a ciò non si opporrebbe l'esercito, ma tutti quei ministri i quali, pur di continuare a far credere agli italiani la bella favola del cosiddetto Risorgimento, non esitano a venire in quest'aula (o a frequentare convegni, presiedere congressi) per prestare a copioni vetusti le proprie voci nemmeno di attori, di pappagalli. E a rimetterci quel po' di prestigio ministeriale, governativo e italiano, che ancora avevano. Signor sottosegretario, nell'esprimere queste affermazioni - e le chiedo perdono se da conterraneo, involontariamente, l'ho offesa - vorrei precisare che per dichiararmi soddisfatto della sua risposta dovrei aver fatto finta di non aver letto tutte le analoghe risposte fornite dai ministri Spadolini e Zanone prima ancora che da lei. Risposte tutte uguali: e tutte bugiarde! Onorevole sottosegretario, se lo gradirà, potrò darle una copia degli atti del convegno sul brigantaggio meridionale svoltosi a Cerreto Sannita nel 1986. Tra i suoi documenti vi è la scheda con la quale gli studiosi possono chiedere l'accesso alla massa documentale riguardante il brigantaggio e il cosiddetto Risorgimento. Dall'esame di questa scheda ella si potrà rendere conto che, alla fine, questi documenti restano inaccessibili ai quivis de populo…Ricordo che il generale Poli l'11 marzo 1987 scrisse al vicepresidente della Commissione difesa della Camera, l'onorevole Baraccetti, le seguenti parole:" Il problema più generale del libero accesso all'ufficio storico nella realtà non esiste, in quanto nel pieno rispetto e nell'osservanza del decreto del Presidente della Repubblica n. 1409 del 30 settembre 1963, il suo archivio è aperto a tutti i ricercatori, italiani e stranieri, senza remora o restrizione alcuna. Ne fanno fede le larghe utenze fruite da grossi nomi del mondo accademico".
Sottolineo che tra questi "grossi nomi" non vi è nessun meridionale, nessuno studente, nessuno studioso attendibile. A fruire dei "pazzi" sono stati e sono sempre i soliti scribacchini che fanno spendere centinaia di miliardi al contribuente italiano per consolidare le "puttanate" che gli storici prezzolati cominciarono a scrivere dal 1860 in poi, forti del solo merito di aver vinto!
(9)Trattasi di Rosa Vercellana,figlia di
un tamburo maggiore dell’ esercito piemontese
(10)
Soprannomi guadagnati per la loro ferocia rispettivamente dal generale Enrico Cialdini
e dal generale Maurizio De Sonnaz
(11)Lettera di Ippolito Nievo alla
cugina Bice Melzi all’arrivo a Palermo insieme ai garibaldini:<< Che
miracolo! Ti giuro,Bice! Noi l’abbiamo veduto e ancora esitiamo quasi a credere
… Noi solo ottocento al più,sparsi in uno spazio grande quanto Milano … alla
conquista d’una città contro 25.000 uomini di truppa regolare,bella,ben
montata,che farebbe la delizia del ministro La Marmora! Figurati che sorpresa per noi straccioni!>> (in G. Fasanella
– A. Grippo “1861. La storia del Risorgimento che non c’è sui libri di storia”
Sperling & Kupfler)
(12) Negli anni dal 1861 al 1870 il fenomeno
dell’emigrazione interessò complessivamente un milione e duecentomila persone
(una media di 120.000 persone all’anno). Però,mentre nei primi anni gli
emigranti del Nord rappresentavano l’80
% della popolazione che lasciava il Paese,il Sud passò dal 6,6 al 40,1 % .
(Fonti:”L’emigrazione negli anni 1861 – 1913” di Fioravanti Bosco e cronologia.leonardo.it)
(13) Forte di Fenestrelle : complesso
fortificato eretto nel sec. XVIII in località Fenestrelle ( TO ). Per le sue
dimensioni (superficie 1.300.000 mq. – lunghezza oltre 5 km. – dislivello 650
m. ) la fortezza è conosciuta anche con il nome
di Grande Muraglia piemontese. Fu progettata dall’ ingegnere Ignazio Bertola
con funzione di protezione del confine
italo – francese,ma fu usata principalmente come prigione,tristemente
nota,perché,per aumentare le sofferenze dei detenuti,le celle,oltre ad essere
prive di pagliericci e coperte, in posti ove la temperatura era quasi sempre
sotto lo zero,venivano private anche dei vetri e degli infissi per rieducare i segregati col freddo.
(da Wikipedia )
(14) << … si è introdotto il nuovo
diritto,sul quale le dichiarazioni del ministero non hanno lasciato alcun
dubbio:il diritto,dico,di fucilare un uomo preso con le armi in mano. Questa si
chiama guerra di barbari,guerra senza quartiere. Ed all’interno,come si chiama?
Dateci voi un nome,io non so darlo. E se il vostro senso morale non vi dice che
camminate nel sangue,non so come spiegarmi>> (Intervento dell’onorevole
Giuseppe Ferrari in Parlamento,29 novembre 1862).
BIBLIOGRAFIA
G. Di Fiore – 1861. Pontelandolfo e
Casalduni,un massacro dimenticato (Ed. Grimaldi Napoli 1998)
G. Di Fiore – Controstoria dell’unità
d’Italia. Fatti e misfatti del Risorgimento (Ed. BUR 2010)
A. Ciano – I Savoia e il massacro del
Sud (Ed. Grandmelò 1996)
Denis Mack Smith – Garibaldi,Ed. Club
del Libro 1970,su licenza della G. Laterza & Figli
Denis Mack Smith – Cavour contro
Garibaldi. 1860:la nascita dell’Italia unita,RCS S. p. A.,1999
Angelo Manna – Briganti furono loro
quegli assassini dei fratelli d’Italia,Sun Books,1997
R. Church – Brigantaggio e Società
segrete – Capone Editore & Ed. del Grifo 2005
M. Monnier – Da Fra’ Diavolo a
Borges
A. De Blasio – Altre storie di
briganti
C. Crocco - Io,brigante
R. De Cesare – Al tempo del Re
Ferdinando Vol. 1 – 2 – 3
R. M. Selvaggi – Il tempo dei
Borbone - Elio de Rosa Editore 1995
M. Galdi – Origine della popolazione di
S. Leucio di Ferdinando IV – Ed. Saletta dell’Uva 2006
G. Carocci – Il Risorgimento - Newton Compton Editore 2006
A. Coletti – La Questione
Meridionale Ed. S E I 1981 (Ristampa)
A. De Jaco – Il brigantaggio meridionale
– Editori Riuniti 2005
D. Quirico – Generali : contro storia
dei vertici militari che fecero e disfecero l’Italia Mondadori 2010 (Ristampa)
AA. VV.
– Giacinto de Sivo tra politica e storia Ass. Culturale “Orizzonti” 1996
C. Corsi – Difesa dei soldati napoletani
1860 – Ed. Ripostes 2011
Pino Aprile – Terroni – Ed. Pickwik 2013
PER APPROFONDIMENTI SUL TEMA
G. Buttà – Un viaggio da Boccadifalco a
Gaeta. Memorie della rivoluzione dal 1860 al 1861 (Ed. BompianiMilano)
P. Calà Ulloa –Delle presenti condizioni
del Reame delle Due Sicilie (Ed. Placidi Roma)
F. Curletti – La verità sopra gli uomini
e le cose del Regno d’Italia. Rivelazioni di J. A.,antico agente segreto del
conte di Cavour (Bologna 1862)
G. De Crescenzo – Contro Garibaldi.
Appunti per demolire il mito di un nemico del Sud (Ed. Il Giglio Napoli)
G. De Sivo – Storia delle Due Sicilie.
Dal 1847 al 1861 (Ed Berisio Napoli)
L. Del Boca – Maledetti Savoia (Ed.
Piemme Alessandria 1998)
L. Del Boca – Indietro Savoia (Ed.
Piemme Alessandria 2004)
F. Izzo – I lager dei Savoia. Storia
infame del Risorgimento nei campi di concentramento per i meridionali (Ed.
Controcorrente Napoli 1999)
P. K. O’ Clery – La rivoluzione
italiana. Come fu fatta l’unità della nazione (Ed. Ares Milano 2000)
G. Savarese – Le finanze napoletane e le
finanze piemontesi. Dal 1848 al 1860 (Ed. Controcorrente Napoli)
A. Servidio –L’imbroglio nazionale.
Unità e unificazione dell’Italia:1860 – 2000 (Ed. Guida Napoli 2002)
Responsabile della pubblicazione
Castrese L. Schiano. Libro pubblicato a cura dell’Autore . Stampato in Italia
da melostampo.it Tipografia OPERA ONLUS
Soc. coop. p. a - ANCONA marzo 2015
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