Goffredo Mameli e suo frattellastro Gennaro, la verità sull'inno italiano


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L' inno di Mameli non è di Mameli, ma di padre Canata di Scolopio.
Il giovane Goffredo ricopiò in bella (senza nemmeno una cancellatura, ma con l' aggiunta di una strofa con un macroscopico errore), un testo scritto nel 1846 da padre Atanasio Canata e lo in viò nel novembre 1847 all' amico Michele Novaro che lo mise in musica quasi di getto, secondo la testimonianza di Carlo Alberto Barrili. Già in dicembre l' inno fu eseguito davanti a Carlo Alberto. Padre Canata si tenne dentro il cuore quel segreto   per «generosità», per non offuscare l' immagine di colui che nel giro di pochi anni era diventato un eroe del Risorgimento, un' icona dell' indipendenza italiana, sia per la precocissima morte, a 22 anni, sia per la fulminea diffusione del «canto degl i italiani». Ma più tardi, prima di morire, padre Canata rivendicò indirettamente, ma con precisa indicazione, la paternità di quel testo che gli era stato «rubato». Scrisse infatti nell' ode Il vate:          «A destar quell' alme imbelli / meditò robusto un canto; / ma venali menestrelli / si rapina dell' arpe un vanto: / sulla sorte dei fratelli / non profuse allor che pianto, / e, aspettando, nel suo core / si rinchiuse il pio Cantore». Questo testo fu composto nel 1849, ma pubblicato nel volume Versi solo nel 1889. La grave accusa a Goffredo Mameli viene formulata dallo storico Aldo A. Mola nel volume Storia della monarchia in Italia, mandato in libreria da Bompiani (940 pagine, 30 euro). Nelle pagine 367-369 lo studioso espone una serie di dati per dimostrare la sua tesi. Poiché non esiste l' originale di padre Canata, Aldo A. Mola ha lavorato su molti indizi. «Prima di tutto la datazione - dice Mola -. Non è sufficiente la data, novembre 1847, apposta da Mameli alla trascrizione dell' inno, per stabilire quando il testo fu composto. L' inno rimanda a eventi del 1846. Sottolinea l' adesione al "primato degli italiani" di Gioberti e all' unione dietro un' unica bandiera.      La citazione di Balilla si collega al convegno degli scienziati a Genova dal 15 al 29 settembre 1846: da quel momento il "balilla" venne evocato più volte come simbolo di rivolta. Ma ci sono molti altri particolari». Mameli nel settembre 1846 fu condotto dal padre scolopio Raffaele Ameri nel collegio di Carcare (Savona). Aveva 19 anni e aveva già precedenti insurrezionali.        La polizia piemontese lo cercava: proprio per questo la famiglia decise di mandarlo a «riflettere» nel collegio dove già aveva studiato il fratello Giovanni Battista. C' è la testimonianza di padre Ameri. Lo stesso Mameli invia una lettera all' avvocato Giuseppe Canale, in cui mostra di padroneggiare poco la grammatica e la sintassi. Commenta Mola: «Lo scrittore non può aver scritto l' inno Fratelli d' Italia, il testo è troppo complesso, elaborato e pieno di riferimenti storici». Padre Canata era un patriota, sostenitore dell' unità, ma devoto di Gioberti, Rosmini e Pio IX. In una poesia anticipò «la patria chiamava severa», come più tardi l' «Italia chiamò» del Canto degli italiani. E quando l' inno divenne famoso, padre Canata non protestò, per non sbugiardare l' eroe. Ma per le orecchie intelligenti lasciò scritto il suo risentimento per il «menestrello» ladro. «E non solo; nella Gazzetta letterata padre Canata vibrò un' altra staffilata - aggiunge Mola -. Scrisse infatti: "E scrittore sei tu? Ciò non ti quadra... / Una gazza sei tu garrula e ladra". Ulisse Borzino, quando consegnò il testo al musicista Novaro gli disse: "To' , te lo manda Goffredo" e non "È di Goffredo". C' è una bella differenza!». «Nell' inno non c' è alcun accenno ai Savoia, a Carlo Alberto, al Papa. Il riferimento è solo all' Italia che "chiamò" - precisa Mola -. Il testo è quindi frutto di una mente sottile, quale Mameli non dimostrò mai in tutte le poesie lasciate». Ma è così importante sapere che l' inno non è di Mameli ma di padre Canata?  «Sì - risponde Mola -. Se autore è padre Canata, come è,  si comprende meglio come si formò lo spirito unitario italiano verso l' indipendenza.Dopo aver scoperto che l'inno d'Italia è l'ennesima bufala retorica si può capire perche' l'intero Stato italiano è una bufala retorica!!
Vi siete mai chiesti – continua Coppola- perché il nostro inno nazionale inizia con la parola “fratelli”? E, su questo, vi siete mai dati una risposta? “Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta” sono infatti le prime parole dell’inno di Mameli. Un inno di chiara connotazione massonica musicato da Michele Novaro e scritto, nell’autunno del 1847, dal “fratello” Goffredo Mameli (al quale, a riprova della sua appartenenza e devozione ai liberi muratori, sarà poi dedicata a futura memoria una loggia) che, non a caso e da buon “framassone”, lo fa iniziare con la sintomatica e significativa parola “fratelli”.
Un inno scritto dal “fratello” Goffredo Mameli nel 1848 e riproposto un secolo dopo, il 12 ottobre 1946, da un altro “fratello”, il ministro delle guerra dell’allora governo De Gasperi, il repubblicano Cipriano Facchinetti, da sempre ai vertice della massoneria con la carica di Primo sorvegliante nel Consiglio dell’Ordine del Grande Oriente d’Italia e affiliato alla loggia “Eugenio Chiesa””. Fu in quella data – ottobre del 1946 – che Facchinetti, quale ministro della guerra, impose che l’inno fosse suonato in occasione del giuramento delle Forze Armate. Da quel momento “Fratelli d’Italia” divenne, come lo è tuttora, ‘de facto’, l’inno ufficioso della Repubblica italiana.

Inno ufficioso e provvisorio- sottolinea lo studioso-  perché mai “de iure” istituzionalizzato con alcun decreto e, ancor di più , perché non contemplato dalla nostra Carta costituzionale come lo è – sancito dall’articolo 12 della stessa Costituzione – l’istituzione del tricolore come bandiera nazionale. Un inno che rimane, pertanto, per le cose dette, ancora ad oggi, privo di ogni ruolo e di ogni qualsivoglia definizione istituzionale.

Da quanto argomentato si può altresì facilmente desumere che l’inno degli italiani fu un inno, nella sua lunga gestazione, fortemente voluto dai massoni che tanta parte, come sappiamo, ebbero nelle vicende che portarono ad una mal digerita Unità d’Italia.

Fu immediatamente dopo l’Unità d’Italia che il Sud si “ destò” e si accorse, sulla propria pelle e a proprie spese, di che pasta erano fatti i “fratelli” che erano venuti a “liberarlo”. E forse proprio nel ricordo di tutto questo, di una mal digerita Unità d’Italia- chiosa Coppola- che ancor più si appalesa a danno dei meridionali, sempre più ricorrenti, negli ultimi tempi, piovono i fischi sull’ufficioso e “precario” inno nazionale“.
Il padre scolopio avrebbe taciuto la verità per non offuscare l' immagine dell' eroe; LE «PROVE» L' autore affidò a una poesia il suo risentimento
Chi èra Gennaro Mameli?

Gennaro Mameli fratellastro di Goffredo, riscrisse l'inno che suo fratello rubò a Canata rendendo l'idea della rivolta anti unitària del meridione

Flagelli D'Italia
la gente s'è desta
con l'elmo di Scipio
vi spacca la testa
la vostra vittoria
spogliò il meridione
fat'ora attenzione
che il sud si svegliò

la rabbia gia forte
cambiamo sta'sorte
siam pronti alla morte
la gente gridò
la rabbia gia forte
cambiamo sta'sorte
siam pronti alla morte
che il sud si svegliò

ben poco si sa di questo personaggio che , come tutta la storia risorgimentale, è stato offuscato per evitare di togliere luce al fratello più famoso.
Restate in linea perchè ho intenzione di aggiungere info su questo personaggio non appena completerò le ricerche.
 


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