Il vescovo Alfonso Maria Cappetta difesore della fede e delle Due Sicilie


Oggi voglio riportarvi l'articolo , preso da Facebook dell'amico Saverio Paternoster che parla di un vescovo Gravinese ma di Origine di acerenza che ebbe il coraggio di sfidare gli invasori italiani e i loro ascari traditori del posto per il bene della sua diocesi e delle sue pecorelle
Rocco Michele Renna

… 1871 luglio 22
A Gravina muore il vescovo Alfonso Maria Cappetta (1859 – 1871).
Vescovo Alfonso Maria Cappetta (1859 – 1871)
Non ebbe modo e tempo di predisporre un testamento, ma nel cassetto del suo studio nel Palazzo vescovile di Gravina si rinveniva un sacchetto che portava scritto: " Danaro pei poveri di Gravina e Montepeloso".
La sua morte fu denunciata da due ambulanti che vendevano i propri prodotti in piazza Notar Domenico: Antonio Marsico, di professione pizzicagnolo, e Francesco Paolo Calculli, fruttivendolo. Tuttavia essendo entrambi analfabeti non potettero firmare l'atto e l'avvenuta morte del vescovo fu verificata dall'ufficiale dello stato civile del Comune.
Dopo i consueti Riti esequiali, a cui assistette la sorella Donata, la memoria del vescovo fu affidata al sacerdote Antonio Palumbo.
Fu tumulato nel Camposanto di Gravina in una cripta messa a disposizione dall'arcidiacono don Filippo Lacaccia. Sulla lapide fu scritto:..... Alphonsus Maria Cappetta civitatis Acheruntiae Anno Domini 1804 natus olim archidiaconus metropolitanae ecclesiae Acheruntinae vicarius generalis capitolaris Acheruntiae ejusque archidiocesis et postea ecclesiarum unitarum Gravinae et Montispelusii die 22 mensis julii A.D. 1871 et aetatis suae 67. Gravinae pace quievit
Mons. Alfonso era nato ad Acerenza il 17 aprile 1804, figlio di Onofrio e Maria Giovanna Giacomini.
Suo padre fu sindaco di Acerenza nel 1805 e, nello stesso anno, i suoi fratelli Michele e Diodato furono avviati alla formazione nel collegio militare della Nunziatella.
Studiò prima nel Seminario di Molfetta e successivamente in quello di Matera.
La sua ordinazione presbiterale avvenne nel 1828.
Partecipò attivamente, come consultore nel Sinodo diocesano 1844- 1845, indetto dal vescovo Di Macco, ed ebbe incarichi di arcidiacono e Vicario capitolare in seno al Capitolo metropolitano acheruntino alla morte dello stesso arcivescovo.
Laureatosi in Teologia nel 1847, fu anche docente all'Università regia. Quand'era sacerdote lo si vedeva in giro per Acerenza a visitare le famiglie povere, portando loro anche elemosine. Quando era impegnato, si serviva del fratello Vincenzo per portare la carità.
Fu nominato Vicario Generale di quell'Archidiocesi nel 1854. Assieme ad altri, si prodigò affinché Acerenza avesse un Seminario e per primo fece sforzi di generosità per essere d'esempio.
Sollecitò anche suo fratello Diodato, generale del "Genio" nell’esercito borbonico e amico dei figli del Re di Napoli, circa la costruzione di un educandato femminile in Acerenza.
Per le sue qualità fu nominato vescovo di Chieti ma rinunciò. Nel 1856 il Re di Napoli propose al Papa di inviarlo alla Sede di Teano, ma rifiutò anche questa volta.
Accettò però la Sede di Gravina e Montepeloso, a cui era stato nominato dal Re il 18 aprile 1859, secondo la convenzione tra la Santa Sede e il Regno delle Due Sicilie. Pio IX gli ratificò la nomina.
Da Roma scrisse la sua Prima Lettera Pastorale il 6 giugno Il 26 giugno 1859 fu consacrato a Roma dal cardinale Fabio Maria Asquini.
Il Capitolo Cattedrale, riunitosi il 24 settembre 1859, organizzò la venuta del novello Pastore, deliberando il sussidio caritativo e i trattamenti di mensa per i primi tempi. Da evidenziare l’incongruenza di fondi, a causa di contributi spesi per la commemorazioni funebri in onore del re delle Due Sicilie Ferdinando II di Borbone (1810-1859), morto nel mese di maggio.
L'ingresso in Diocesi fu pari alla festa patronale, la presa di possesso e successivamente il rinfresco ed i saluti di rito; nel suo saluto con il prefetto Beniamino Angelastro fu omaggiato da quest'ultimo da quattordici quadretti raffiguranti le stazioni della "Via Crucis" dipinti a mano.
Nella Diocesi, si fece notare per la sua modestia e lo si vedeva spesso per strada a piedi, tenendo la carrozza dietro di lui. Visitava di frequente le famiglie povere, dava udienza a tutti anche fino a tarda sera.
Si affrettò a riaprire il Seminario di Gravina impiegandovi come maestri sacerdoti tutti gravinesi. Allo stesso Seminario fece aggiungere un altro piano, su progetto dell'ing. Lo Foco di Bari. Migliorò a proprie spese un Orfanotrofio femminile in Gravina, mostrando letizia nell’accogliere le suore stimmatine che si stabilirono nel convento accanto alla chiesa di San Domenico.
Visse il suo episcopato in pieno Risorgimento italiano. La sua permanenza nella Diocesi fu caratterizzata da un periodo politico particolare: la fine del Regno delle Due Sicilie, la perdita del potere di Francesco II e tutti gli avvenimenti che portarono all’Unità d’Italia.
A seguito della rivoluzione e dello sbarco di Garibaldi in Sicilia, molti vescovi del Regno di Napoli furono costretti a fuggire perché considerati "borbonici".
Su molti presuli furono esternati giudizi non molto positivi: assieme a molti, mons. Cappetta fu considerato, seppur persona caritatevole, nient'affatto affidabile sul piano politico, in quanto filo borbonico. Ma nonostante ciò mons. Cappetta rimase al suo posto in mezzo alle sue "pecorelle", anche se dovette fare i conti con sacerdoti che aderirono alla lotta armata, come don Matteo Abruzzese di Gravina, arrestato per detenzione di armi e munizioni.
Il 1860 fu segnato dai conflitti utili per l’unità d’Italia. Nel Meridione noti furono i moti insurrezionali dei comitati di Potenza ed Altamura, che dichiarano decaduto Francesco II di Borbone e l’unita d’Italia. La Chiesa filoborbonica ebbe parte attiva nell’informare la pubblica sicurezza su eventuali azioni da parte delle forze ribelli. Ad esempio, un’informativa al Comitato di Potenza avvisava che da Napoli partiva un sacerdote di Gravina, Nicola Manfredi, che avrebbe raggiunto la città di Lecce per documentarsi sugli uomini e sulle azioni del comitato ribelle locale e riferire il tutto alle autorità e forze di polizia.
Il novello Stato nazionale dovette affrontare i rapporti con la Chiesa annullando il concordato del 1818 ed estendendo all'ex territorio borbonico la legislazione sabauda del 1850. Sulla base di ciò, furono soppressi gli Ordini religiosi che non operavano nell'ambito dell'assistenza agli infermi e nella beneficenza. La documentazione di quel periodo evidenzia la sofferenza della Chiesa pugliese, costretta a operare con precarietà e in condizioni di frattura con il nuovo Stato laico. A questo si aggiungevano personaggi anticlericali.
Comunque mons. Cappetta non si lasciò corrompere quando a causa della soppressione degli Ordini Religiosi, anche il Seminario di Gravina fu richiesto dallo Stato. Egli lottò con tutte le sue forze protestando, insieme ad altri vescovi viciniori con lo stesso problema, e ottenendo altresì che non fossero soppressi quattro monasteri femminili. Mons. Cappetta fu inviso dal nuovo governo, così, quando giungevano delle truppe a Gravina, veniva requisito il Palazzo Vescovile, questo per spingere il vescovo ad abbandonarlo. Mons. Cappetta, per nulla intimorito, rispondeva con pacatezza ...." E' vero che in Acerenza avrei il palazzo di famiglia, ove non sarei soggetto a questi insulti; ma è vero pure che se Dio avesse voluto liberarmi da tante mortificazioni, non mi avrebbe affidato il Vescovado, e quindi imposto l'obbligo di starmene accanto del gregge anche a costo della mia vita...."
E sulla stessa questione al governatore Vincenzo Rogadeo, mons. Alfonso rispose con il seguente tono: " Pregevolissimo Signor Governatore, educato alla Scuola del Vangelo non posso non ammirare i nobili sentimenti che Ella nutre verso la Gran Patria Italiana e quindi con Lei condividerli anch'io, nella stessa che mi viene circoscritta dall'Apostolato per la riforma dè costumi e dall'incivilimento cristiano. Epperò non tralascio di assicurarLa Sig. Governatore, che come per lo innanzi così per l'avvenire, non cesserò mai di predicare più col fatto che con la parola a questo popolo, dalla Provvidenza alle mie cure pastorali affidato, quali siano i voleri di Dio nel regolare i destini d'Italia. Mi auguro di mantenere in questa Diocesi per il bene delle anime e delle aspirazioni italiane, l'ordine e la tranquillità pubblica che sono la manifestazione d'un popolo civile e cristiano. Sono questi i miei voti che umilio all'Altissimo ogni mattina sull'altare dell'incuento Sacrificio e mi attendo che siano esauditi. Colgo intento questa occasione per dedicarLe i sensi della mia più sentita stima, con che passo a segnarmi. Suo D.mo Ser.o ed Om.o + Alfonso Maria
Il clima surreale che si respirava produsse il brigantaggio post unitario. Nel 1861 con una convenzione con il sindaco di Gravina Calderoni, fu annessa al Seminario di Gravina una scuola tecnica. Mons. Cappetta era solito concentrare la sua attenzione sul sacerdozio, così spesso lo esternava nei discorsi con i suoi familiari: ".....Qui sint expediti ad officia, idonei ad Sacramenta, ad plebes erudiendas solleciti, et ad se custodiendos in omni castitate".
Considerava la casa del vescovo al pari di una chiesa, per questo motivo esortava i suoi domestici, prima di andare a letto, a riunirsi con lui nell'oratorio esortandoli a recitare insieme il S. Rosario.
Spesso era invitato dalle Diocesi vicine ad amministrare i Sacramenti propri del ministero episcopale, causa assenza dei titolari.
L’8 dicembre del 1869, nella solennità dell'Immacolata Concezione, si apre il Concilio Vaticano I che vide partecipare mons. Cappetta unitamente ad altri vescovi.
Nel 1870 un'epidemia di Colera decimò la popolazione, a migliaia trovarono sepoltura in quel luogo che ancora oggi è conosciuto come "Terra Santa", nella Diocesi un susseguirsi di funzioni religiose per scongiurare l'epidemia.
A causa del suo precario stato di salute, mons. Cappetta trascorreva l'inverno in Gravina e si riparava dal caldo d'estate in Montepeloso.
Si ammalò gravemente e dovette correre più volte in Napoli o recarsi ad Acerenza per curarsi.
Non predispose alcun testamento e, a chi gli chiedeva spiegazioni in merito, rispondeva: " ...ho fatto il mio testamento; l'anima a Dio e la roba a chi spetta..."
In suo ricordo la Chiesa di Gravina possiede alcuni paramenti e il bellissimo baldacchino ricamato in oro esposto nel 2004 nella Chiesa del Purgatorio nell'ambito della mostra di paramenti liturgici “Quando ricamano gli Angeli", organizzata dal Museo Capitolare di Arte Sacra e l'Associazione "Benedetto XIII" di Gravina.
Una palmatoria d'argento che si caratterizza per un uso eclettico degli ornati, tanto di moda a quei tempi. L'impugnatura, assai articolata, è costituita da due distinti settori: nel primo è riportato lo stemma del vescovo; nel secondo, all'interno di una cornice ovale, una scena del creato del Dio Onnipotente con la scritta FIAT LUX. Al manico è saldato il piattello circolare sostenuto in basso da due Angeli alati inginocchiati sopra una foglia accartocciata. Dal centro del piattello s'innalza il bocciolo utile a conficcare la candela (cfr. G. Boraccesi Gli Argenti del Museo Capitolare di Arte Sacra di Gravina in Puglia)
Saverio Paternoster

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